Chris Colabello: l'italiano che fa la voce grossa nel baseball Usa
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Chris Colabello: l'italiano che fa la voce grossa nel baseball Usa

E' tornato in Major League nel maggio scorso con i Toronto Blue Jays e ha conquistato a colpi da meraviglia il pubblico a stelle e strisce

Con lui in campo, i Toronto Blue Jays hanno preso il volo, raggiungendo le zone alte della East Division dell'American League, uno dei due gironi (l'altro si chiama National League) di cui si compone la Major League, il torneo dei campioni del baseball Usa, paragonabile alla Champions League del calcio europeo per la qualità dei giocatori che ne fanno parte. Per Chris Colabello, classe '83, nato negli Stati Uniti e cresciuto in Italia, punta di diamante del movimento tricolore nella terra dei fenomeni, è il momento di raccogliere i frutti di un lavoro lungo 20 anni. L'ultima gioia, il fuoricampo (il sesto della stagione) con il quale ha risolto al 12° inning la sfida tra Tampa Bay e Toronto: tassello da applausi di una stagione a dir poco strepitosa. Signore e signori, il baseball a stelle e strisce ha (ri)scoperto un campione.

Dicono che raggiungere la Mlb a 29 anni sia quasi come vincere la lotteria di Capodanno. Quando succede, è un trionfo senza limiti. Conferma?
"In verità, non ho mai pensato che fosse un traguardo irraggiungibile. Certo, più passava il tempo e più diminuivano le possibilità che potesse accadere, ma ho sempre pensato che fosse un obiettivo alla mia portata, che potevo ottenere. Sì, ci ho sempre creduto".

Dopo una breve parentesi nella categoria inferiore, il Triplo A, il 5 maggio scorso è tornato a frequentare i campi della Mlb con la casacca dei Toronto Blue Jays. Pronti e via e si è tolto la soddisfazione di suonarle ai New York Yankees, il club più titolato del baseball a stelle e strisce: sei battute valide in otto turni al box di battuta. Dica la verità, aveva un conto in sospeso con loro.
"Conosco abbastanza bene il loro pitching coach (ndr, tecnico dei lanciatori) e pare che non l'abbia presa benissimo. L'anno scorso contro gli Yankees avevo battuto 4 su 8, con due fuoricampo e due doppi. Nell'ultimo incrocio, ero fiducioso di fare bene, ma da qui a battere 6 valide, be', chi poteva immaginarlo?".

La vera rivincita è arrivata però qualche giorno più tardi con il fuoricampo che ha deciso la partita contro la sua ex squadra, i Minnesota Twins. Cosa non ha funzionato con la franchigia di Minneapolis?
"I Twins non stavano attraversando un bel periodo. Erano in fase di ricostruzione e hanno deciso per questo di dare spazio a molti giovani. Non mi sono mai sentito nelle condizioni di contribuire alla causa nel modo in cui avrei potuto. Tuttavia, sono ancora molto legato a loro, perché mi hanno dato la possibilità di giocare in Major: Minnesota è stata la prima squadra che mi ha messo sotto contratto".

Da quando si è ripreso la Mlb ha macinato numeri straordinari. Come è cambiato il suo modo di giocare negli ultimi mesi?
"Me lo chiedono tutti e la risposta che devo dare è sempre la stessa: il mio modo di giocare non è cambiato. Ogni giorno scendo in campo con la determinazione di svolgere al meglio il mio lavoro per aiutare la mia squadra a vincere. Io credo in me stesso e nelle mie capacità, sapevo che avrei potuto giocare ad alti livelli. Se non avessi avuto questa convinzione, non sarei arrivato da nessuna parte".

L'attenzione della stampa Usa nei suoi confronti certifica un rendimento straordinario. Ma ora deve fare i conti con le tante richieste di interviste: un lavoro nel lavoro, anche se evidentemente gratificante.
"L'altro giorno a Boston un giornalista mi ha fatto notare che le cose vanno bene quando la stampa ti vuole parlare e non quando accade il contrario. Avrà sicuramente ragione lui, ma ammetto che un po' mi sorprende questa esasperata ricerca delle ragioni che stanno dietro al mio buon momento. E' come se la gente non ci credesse. Si chiedono: possibile che un giocatore arrivato in Major a 29 anni possa avere questo rendimento? E questo rappresenta per me uno stimolo in più per continuare a dare il massimo".

Nella Grande Lega del baseball americano ogni squadra è chiamata a giocare 162 partite nei sei mesi della stagione regolare. Fatti due conti, è una partita al giorno o poco meno. Quale tipo di preparazione fisica e mentale è necessaria per tenere questi ritmi?
"Ogni giocatore di Major sa cosa deve fare per arrivare al top della condizione. Sa quando è il momento di dare tutto quello che ha e quando invece è meglio fare un passo indietro per riposarsi. Perché il baseball è anche e soprattutto uno sport di testa. Il segreto dei migliori giocatori al mondo è dimenticare presto e senza strascichi di alcun tipo i periodi difficili, che arrivano per tutti, anche per i fuoriclasse. Se vogliamo, il baseball è una metafora della vita".

Suo padre, Lou Colabello, ha giocato come lanciatore nel grande Rimini degli anni Settanta. Qual è stato il suo consiglio più prezioso?
"Quando ero giovane, il babbo era solito urlarmi i suoi consigli, soprattutto quando sbagliavo l'approccio nel box di battuta. Scherzi a parte, senza di lui non sarei sicuramente arrivato in Major League. Mi ricorda ancora adesso di essere sempre aggressivo e di non lasciare andare nulla. Quando sei chiamato a battere valido, non ti puoi permettere di perdere nemmeno un'occasione".

E' nella città romagnola che è diventato un giocatore di baseball. Cosa ricorda di quegli anni nelle giovanili della formazione riminese?
"Ricordo tutto, è stata un'esperienza meravigliosa. Dentro e fuori il campo. Perché quando seguivo le partite di campioni come Mike Romano, Elio Gambuti e Roberto Cabalisti, soltanto per fare alcuni nomi, era come se stessi assistendo a una lezione. Loro, i grandissimi, mi dicevano come fare e io memorizzavo i movimenti per farli miei. Le persone che ho conosciuto in quegli anni sono rimaste nel mio cuore".

Negli Stati Uniti il baseball è uno sport popolare, mentre in Italia gli appassionati sono pochi, come i praticanti. Perché a suo avviso il batti e corri non è riuscito a farsi largo nel nostro Paese?
"Forse perché è un gioco più lento rispetto al calcio e le partite possono durare anche due o tre ore. In Italia forse manca la pazienza, si cerca il relax e per lo sport viene ritagliato uno spazio nei fine settimana e nulla più".

Eppure, il tricolore fa bella figura all'estero. Con la maglia della Nazionale italiana lei ha vinto un Europeo nel 2012 e ha partecipato al World Baseball Classic dell'anno successivo, togliendosi la soddisfazione di battere il Canada, un Paese dove il baseball non fa da comprimario. Ci sono i presupposti per fare ancora meglio?
"Quando metti insieme gente appassionata e capace, in grado di capire il gioco e cosa serve per vincere, è tutto più facile. Nel baseball, non sono sempre le squadre con i giocatori più forti a vincere le partite. Capita sovente che abbia la meglio la formazione più determinata, coesa. Non posso dire dove potrà arrivare la Nazionale italiana, ma so per certo che possiamo ancora fare tantissimo".

Dici oriundo e i puristi di casa nostra storcono il naso dall'insofferenza. Eppure l'Italia del calcio ha vinto tre mondiali grazie al contributo di giocatori nati all'estero. E' solo sport o c'è di più?
"E' da qualche anno che non vivo in Italia ed è per me difficile capire le ragioni di questo approccio. Io ho la famiglia italiana e mi sento romagnolo, quindi italiano a tutti gli effetti. Chissà, forse è un problema di gelosie e invidie".

Ci hanno provato in molti a spiegare le regole di base del baseball a chi non ha mai seguito una partita da vicino. Vuole provarci lei?
"Il baseball è l'unico sport in cui la squadra in attacco non ha il possesso della palla. Il lanciatore, primo difensore, lancia la palla al battitore, che è l'attaccante. Se la difesa raccoglie la pallina prima che il battitore raggiunga la base ottiene un eliminato. Ogni tre eliminati, si cambia. E chi giocava in attacco, gioca in difesa. Per nove volte".

Dicono che presto o tardi il calcio riuscirà a conquistare anche gli Usa. Lo pensa anche lei?
"Il calcio sta crescendo moltissimo, specialmente nei settori giovanili, che fino a poco tempo fa non c'erano neppure. Detto questo, credo che rimarrà comunque uno sport di seconda fascia per il pubblico degli Stati Uniti, abituato a seguire da sempre altre discipline".

Diverso lo sport, diversi i tifosi, che nel baseball, a differenza del calcio, raramente finiscono nei guai per episodi di violenza fuori e dentro gli stadi. Come lo spiega?
"E' diversa la tensione emotiva che sta dietro ai due sport. Nel calcio, c'è una passione esasperata, mentre nel baseball è tutta un'altra storia, il divertimento vince su tutto, anche sulla delusione. Da queste parti, è difficile vedere tifosi che arrivano alle mani per una sconfitta".

Praticare sport negli Stati Uniti è molto diverso rispetto a farlo in Italia. Qual è a suo giudizio la principale differenza?
"Lo sport negli Stati Uniti è una questione di primissima importanza. Chi lo pratica, ci mette tutto se stesso, anche se gioca una partita amichevole. E questo approccio si vede fin dalle giovanili. Non è un semplice passatempo, è molto, molto di più".

Christian Petersen/Getty Images Sport

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Dario Pelizzari