Alex Rodriguez
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Doping nel baseball: Rodriguez paga per tutti?

211 turni di squalifica per la stella degli Yankees. Ma servono maggiori controlli anche per il futuro, come spiega l'azzurro Mario Chiarini

Alex Rodriguez come Lance Armstrong. Il terza base dei New York Yankees, una delle leggende viventi del baseball di ogni tempo, è stato squalificato per 211 partite con l'accusa di aver fatto uso di sostanze dopanti. Il nome del fuoriclasse di origini dominicane, tre volte miglior giocatore assoluto della Major League a stelle e strisce e popolarissimo negli Stati Uniti anche per via delle relazioni vere o presunte con alcune delle donne più blasonate dello star system internazionale, è stato inserito nell'inchiesta che lo scorso giusto ha fatto tremare il baseball Usa. 

Secondo l'accusa, Rodriguez, che aveva già ammesso di aver fatto uso di steroidi tra il 2001 e il 2003, avrebbe acquistato dalla Biogenesis, clinica della Florida al centro dello scandalo, dosi massicce di ormoni per la crescita, utili a migliorare il rendimento in campo. A differenza però di altri dodici giocatori della Grande lega, che hanno ammesso il proprio coinvolgimento e che per questo sono stati puniti "soltanto" con 50 gare di stop, il fuoriclasse degli Yankees ha respinto ogni addebito. Fino all'ultimo. Fino a quando la Mlb ha perso la pazienza e ha deciso di applicare per lui la linea dura. Rodriguez, 38 anni, ha già fatto sapere che ricorrerà nelle sedi opportune per ribaltare la sentenza. Se non ci riuscisse, potrebbe tornare in campo nel 2015. Con pesanti ricadute sul suo conto in banca. 

Sì, perché "A-Rod" è da anni uno degli sportivi più pagati al mondo e un anno di attesa forzata fuori dai campi potrebbe costargli circa una trentina di milioni di dollari di mancate entrate pubblicitarie. Si sa, il doping non piace alle aziende che investono nello sport. Rodriguez come Armstrong, il campione della bicicletta statunitense che per un decennio ha preso in giro gli appassionati di ciclismo di tutto il mondo. Un crollo verticale e senza appello. 

Il baseball Usa non è nuovo a casi come questi. La vicenda Biogenesis richiama alla memoria il caso Balco, l'alfa e omega del doping internazionale degli ultimi due lustri. Allora, nel 2003, lo sport planetario venne messo al tappeto da un indagine ad ampio raggio firmata dal Governo federale degli Stati Uniti e dall'Usada, l'agenzia antidoping del Paese americano. Gli effetti furono di portata storica. Vennero messi all'indice, con richieste di maxi-squalifiche che fecero giurisprudenza, alcuni dei più grandi protagonisti dello sport statunitense. Da Marion Jones, stella dell'atletica leggera, a Bill Romanowski, un mito per gli appassionati di football americano. E ancora, Jason Giambi, Manny Ramirez e Barry Bonds, veri e propri miti del baseball di ogni epoca, che furono coinvolti nello scandalo insieme con un altro centinaio di colleghi. 

"Rodriguez? Me l'aspettavo, si diceva da tempo, spero che gli Stati Uniti cambino ora il modo di controllare i loro atleti", spiega a panorama.it Mario Chiarini, esterno destro del Rimini baseball, uno dei giocatori con più presenze in maglia azzurra. "In tutto il resto del mondo, Europa compresa - aggiunge Chiarini - gli atleti vengono sottoposti ai controlli eseguiti dalla Wada, l'agenzia antidoping mondiale, mentre gli Usa fanno storia a sé. Dai controlli alle sanzioni, decidono tutto in autonomia. Perché molti giocatori di baseball della Major League fanno uso di sostanze dopanti? Per riuscire a mantenere un buono stato di forma nei sei mesi in cui scendono in campo quasi tutti i giorni. Intendiamoci, non si diventa campioni con il doping, l'abilità è innata, ma certo alcune sostanze possono aiutare a fare prestazioni importanti. Anche in battuta, dove conta e non poco la potenza". 

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Dario Pelizzari