Abdon Pamich, 80 anni a marcia avanti
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Abdon Pamich, 80 anni a marcia avanti

Bronzo alle Olimpiadi di Roma e oro ai Giochi di Tokyo nella 50 km, l'atleta nato a Fiume il 3 ottobre 1933 è ancora attivissimo tra sport e studi storici

di Giorgio Cimbrico / Sportivamentemag

Abdon Pamich è sempre stato un tipo serio, quasi austero. Se Ingmar Bergman lo avesse conosciuto, garantito che gli avrebbe dato una parte: un predicatore luterano, il patriarca di una grande famiglia, animato dal culto del lavoro. Marcia sempre, almeno quattro volte la settimana, pedala e dopo aver studiato molto – è laureato in psicologia e in sociologia – studia ancora: si è messo in testa di scrivere una storia dello sport fiumano e sta raccogliendo testimonianze dai vecchi che rimangono, dalle famiglie. 

Mi raccontava che non ci sono stati solo lui e Loik, ma tanti altri calciatori, pugili, atleti, velisti, canottieri, alpinisti. "Pensa", mi diceva, "due sono sepolti dal '26 da qualche parte sotto la vetta del Monte Bianco". Una versione fiumana dell'assalto all'Everest di George Mallory e Andrew Irvine che, proprio in quegli anni, si persero in una tormenta dopo aver toccato, primi della storia, gli 8.400 metri. Avevano la piccozza, portavano vestiti di tweed e non sapevano cosa fosse una bombola piena di ossigeno.

È stato bello ascoltare Abdon quando parlava di una società multietnica e multiculturale: italiani, slavi, tedeschi, ebrei, ungheresi. "Per gli ungheresi Fiume è rimasta Fiume, non Rijeka". Perché se Trieste era lo sbocco al mare di Vienna imperiale , Fiume e Pola erano i porti di Budapest reale. E così, avrete capito, la nostalgia per quel mondo perduto ha cominciato a far breccia, a inglobare non solo i fiumani, ma anche tutti gli altri: i triestini, gli istriani, i dalmati, gli zaratini, quelli che abitavano gli avamposti del Commonwealth di San Marco e che allo sport italiano hanno dato (l'elenco non vuol esser completo) Giorgio Oberweger, Nereo Rocco, Nino Benvenuti, Agostino Straulino, Gabre Gabric (avviata verso il secolo di vita) e Ottavio Missoni, il Grande e Amabile Vecchio che era un Adone e che se n'è andato qualche mese fa, piegato, più che dall'età, dal più terribile dolore che possa toccare a un padre.

Dopo tre quarti d'ora, ci siamo accorti che del suo giorno dei giorni, il 18 ottobre 1964, quando vinse la 50 km di marcia a Tokyo dopo aver domato un intestino ribelle e il ferroviere britannico Paul Nihill, avevamo parlato solo un pugno di secondi. Sufficiente rimpallarci l'un l'altro qualche immagine bianco e nero: la più bella è quella di lui che sta per afferrare e fare a pezzi il filo di lana, che c'era ancora. Il lungo inseguimento era finito e lui aveva raggiunto l'obiettivo che si era messo in testa dal '56, quando era andato alla Praga-Podebrady, una specie di campionato mondiale per i cinquantisti. Puntava a entrare nei primi quindici e vinse.

"Lo sai, non la fanno più", e nella voce di Abdon c'era il rimpianto per un mondo spazzato via, per avversari di cui aveva avuto una stima così profonda da assomigliare ad affetto (Matthews e Frenkel, Dolezal e Golubnichy. E Pino Dordoni, naturalmente…), per un gesto sportivo che il tempo ha trasformato in qualcosa di affrettato e grottesco, non più nobile e fiero come nei suoi giorni. Oggi da Praga a Podebrady non si marcia più - una gara dentro la città termale ed è tutto - e molte altre cose sono sparite senza che ci sia stato dato qualcosa in cambio.

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