Roberto Bolle: "La leggerezza è tenacia e passione"
Marco Brescia e Rudy Amisano
Lifestyle

Roberto Bolle: "La leggerezza è tenacia e passione"

Intervista all'étoile della danza mondiale che racconta la sua vita quotidiana tra allenamenti e filosofia

«La potenza del pensiero muta il destino». Così scrisse il mistico indiano Sivananda Saraswati e Roberto Bolle questa frase, giorno dopo giorno, passo dopo passo, l’ha usata come mantra.

Partendo da Trino, paesino vicino a Vercelli, famoso per le zanzare e la centrale nucleare dismessa, con la forza della sua mente (e un fisico da paura) è diventato una stella della danza mondiale. étoile dei due mondi. L’unico a essere primo ballerino del Teatro alla Scala e principal dancer dell’American Ballet Theatre di New York.

Bolle assomiglia al principe della Bella addormentata di Walt Disney, quello con il mantello rosso. Amletico nelle sue paure, fieramente carismatico, immensamente talentuoso e felicemente ossessionato dalla danza. Tanto da ideare una «dancing week», una settimana dedicata alla danza fuori dai teatri, in mezzo alla città e alla gente. «OnDance è la mia anima, il mio cuore. Ci tengo in maniera assoluta», racconta muovendo le lunghe mani seduto a un tavolo davanti a decine di bottigliette d’acqua. Maglietta nera tesa sui muscoli, sembra uno dei supereroi di Avengers, ma non è così semplice: «Un grande talento non è solo un dono, ma ore di fatica e lavoro alle spalle».

Tenacia e passione sono le parole chiave della sua vita?

Imprescindibili. La tenacia ti serve per fare emergere la passione. E la passione è ciò che ti fa realizzare

il sogno. Che per me è sempre stato quello di ballare.

Nei sogni cominciano le responsabilità. Quando sono

iniziate le sue?

Avevo cinque anni e una compagna di classe frequentava un corso di danza classica. Mi faceva vedere i passi che le insegnavano, io ero curioso di provare a esprimermi con il corpo. A casa ballavo, o meglio mi muovevo, su qualsiasi musica. Così iniziai a frequentare la scuola di Trino.

Un impatto alla Billy Elliot?

Su quindici bambine ero l’unico maschio. Sconsolante. Mi sentivo come il protagonista di quel film che ho molto amato. All’inizio non riuscivo a esprimermi attraverso le posizioni accademiche Non mi sentivo libero. Ho avuto bisogno di tempo per abituare la mia forma mentale a quello che era la danza classica.

Quando ha spiccato il volo da Trino?

A otto anni sono passato all’Accademia di Vercelli. Andavo e tornavo in pullman, da solo, tre volte alla settimana. C’era anche un altro ragazzino, che incontrai anni dopo nel corpo di ballo dell’Arena di Verona. Ma il passaggio difficile fu decidere di andare a Milano. Significava lasciare la mia famiglia.

Chi fu determinante in questa scelta?

Mia madre. Ebbe la lungimiranza di capire che se la mia strada era quella, dovevo andare. Non era un passo semplice, avevo solo dodici anni, ma lei con il suo grande cuore mi aiutò. È una donna forte, determinata. Disse: «Prova, fai l’audizione. Se non ti piace, torna indietro. Hai la massima libertà».

E lei cosa rispose?

Volevo andare a Milano e nello stesso tempo non volevo. L’idea di vivere da solo, lontano dai miei, mi spaventava. Così le dissi che l’avrei fatto, ma non mi sarei impegnato.

E invece?

Mi impegnai molto. Passai la prova e dopo l’estate tornai a Milano per restarci. Avevo una camera in affitto da una signora anziana. Non abbiamo mai avuto un bel rapporto. Ero molto solo. Anni difficili. Passavo la giornata in teatro, la Scala era la mia casa. Mangiavo alla mensa e tornavo a dormire. Così fino a diciotto anni, non avevo altra soluzione.

Sei anni di solitudine?

Ne ho sofferto tanto, ma mi ha aiutato a crescere velocemente. Ha temprato il carattere. Mi ha dato gli strumenti per essere più maturo e determinato. Presto ho capito che su quel palco sarei stato solo, a dimostrare il mio valore.

Rudolf Nureyev disse: «La danza è la mia condanna». Anche per lei è stato così?

Devi dedicarle la vita. E i risultati importanti vanno raggiunti in fretta. A vent’anni se non sei arrivato, non ce la farai più. Dopo sarà troppo tardi. È in parte una condanna, perché si è costretti a rinunciare a tanto. Non ho vissuto l’adolescenza, gli anni della spensieratezza sono stati divorati. Non si può avere tutto.

Le è mancato l’amore?

Sinceramente non posso dire che non mi sia mancato, ma sono arrivato a un punto in cui sono grato a questo mio percorso. Ci sono state rinunce, e metto l’amore tra quelle, ma come ho detto, non si può avere tutto. Quello che mi dà gioia è ciò che creo ogni giorno con la mia arte. Se per amore avessi dovuto rinunciare a tutto questo, allora sì, che sarebbe stato frustrante.

Quante ore si allena?

Tante. Ogni giorno faccio una lezione di un’ora e mezza, più cinque ore di prove, due al mattino e tre al pomeriggio. In aggiunta ci sono gli allenamenti extra: per rinforzare gli addominali, i dorsali, riscaldamento, defaticamento, sette ore ogni giorno.

Tutti i santi giorni?

Non sono sempre sette ore intensive, sarebbe disumano. Molte volte si imparano le coreografie, si provano passi nuovi. Ma ogni giorno almeno per un’ora e mezza mi alleno. Se

no ne pago le conseguenze il giorno dopo.

Come si costruisce un corpo perfetto come il suo?

La predisposizione fisica è importante per arrivare a determinati livelli di prestazione,

ma fondamentale è il lavoro quotidiano. Ti forma e struttura. Ci vuole una grande determinazione. Io sono fortunato perché ho motivazioni forti. E voglio sempre dare il massimo.

Che dieta segue?

Non mangio carne. Sentivo che non mi faceva bene. Ho cercato negli anni di capire quali alimenti erano quelli giusti per migliorare le prestazioni atletiche. L’alimentazione è fondamentale, il nutrimento è quello che dà il risultato importante. Evito le farine bianche, i grassi, non mangio i latticini. Amo il riso, è il cibo della mia infanzia, la nostra tradizione. E poi farro, quinoa, miglio, pesce, frutta, legumi, uova, che porto fresche quando vado a casa, come le verdure. Hanno un sapore diverso. E il cioccolato fondente, in quantità rilevanti.

Le piace cucinare?

Ho imparato a fare delle torte usando farine diverse, castagne o grano saraceno, senza latte. È un modo per rilassarmi.

È la mente che comanda il corpo?

È quella che fa la differenza. Di corpi belli ne ho visti tanti girando nelle compagnie, ma spesso si perdono, si fermano, vagano e non riescono ad andare avanti. È la testa che ti dirige. È lei che ti fa arrivare, ti fa emergere.

In che modo si allena il nostro cervello?

Ho fatto meditazione. Nel mio periodo più intenso, quando danzavo e studiavo per prendere la maturità scientifica in un liceo serale per studenti lavoratori, avevo affinato un metodo. Alla Scala mi nascondevo in un luogo che conoscevo solo io, dove non veniva mai nessuno. Mi sedevo, riuscivo a isolarmi, anche solo per quindici minuti. Facevo training autogeno. Così mi riequilibravo.

Il silenzio è una pratica di benessere?

Dopo anni di solitudine forzata, oggi mi piace stare per conto mio, mi ricarica. Aiuta a ritrovare l’anima. Mi piace uscire con gli amici, ma poi ho bisogno di allontanarmi. Di ascoltare il silenzio. Quando sto molto tempo in tour ho l’esigenza di rimanere da solo. In fondo sono un asceta.

Con OnDance offre la possibilità a giovani ballerini di seguire workshop gratuiti al Teatro degli Arcimboldi di Milano. È valorizzata la danza nel nostro Paese?

Non abbastanza. Negli ultimi anni sono state chiuse compagnie importanti come quella dell’Arena di Verona e del Maggio Fiorentino. Eppure c’è tanto fermento, un numero incredibile di giovani che scelgono la danza classica e contemporanea. Mancano le possibilità professionali. Molti di questi ballerini e ballerine sono costretti ad andare all’estero. Si pensa a tagliare invece di trovare soluzioni più intelligenti.

Quali per esempio?

In America il contributo pubblico

è quasi nullo, c’è molto privato e viene intelligentemente incentivato.

I donors seguono il processo creativo, vengono coinvolti. E alla fine sono ringraziati pubblicamente con targhe e onori. Da noi il mecenate sembra che sia meglio nasconderlo.

Nel mondo anglosassone tutto

è più semplice, basterebbe provare

a copiarlo. 

Consigli per i Bolle del futuro?

Non basta la qualità tecnica, lo dico sempre. Ci vuole la passione,+ il sacrificio, la dedizione, l’impegno. Sono questi i valori che ti devi portare dietro, anche se deciderai di lasciare la danza.

I sani valori dell’educazione sabauda.

È stato fondamentale vedere i miei genitori sacrificarsi per permettere

a noi figli di realizzare i sogni.

È grazie a loro se sono stato capace

di lavorare duro.

Cosa le dice sua madre oggi?

È contenta che dentro sia rimasto quello che ero, alla fine per lei

è quello che conta.

Nella sua vita sembra che una grande parte l’abbia giocata il destino. Come quando ha debuttato a Londra davanti a Lady Diana

e alla famiglia reale inglese perché un suo collega si era infortunato. Solo a Nureyev era successa

la stessa cosa a Parigi.

Ho sempre pensato che sia il fato a governare le nostre vite. Ognuno ha un karma. Il mio mi portò a ballare Il Lago dei cigni alla Royal Albert Hall, nel ’97, per sostituire il primo ballerino che si era fatto male. Ero scisso tra la felicità assoluta e il panico più profondo. Non sapevo se sorridere o scappare. Non mi sentivo pronto, ero terrorizzato, mi continuavo a ripetere: «Devo dare il massimo, faccio il possibile, più di così non posso fare».

Sappiamo ciò che siamo, ma non quello che potremmo essere, come Amleto.

È stato così soprattutto all’inizio. Ho sofferto molto di questa mia fragilità. Negli anni ho acquisito sicurezza. Le prove della vita mi hanno reso forte. E poi tutte le cose inaspettate che neanche io immaginavo di poter fare, come lo show Danza con me su Rai Uno. Bisogna essere positivi, saper accogliere il destino.

Quando aveva solo 15 anni Nureyev la scelse per interpretare Tadzio in Morte a Venezia. Almeno quella volta l’autostima s’impennò?

Fu una tragedia. Piansi per giorni. Il Teatro non lo permise: «O lasci la scuola o noi non possiamo darti l’autorizzazione», dissero gli insegnanti. Per loro non ero ancora pronto. Vedevo la mia carriera crollare in mille pezzi, dopo capii che avevano ragione. Non ero maturo, non avevo gli strumenti per affrontare la situazione. Avrei rischiato di bruciarmi. E lui non era un uomo facile: volubile, irascibile. Dopo quella volta alla Scala non lo rividi più, ma è stato importante nella mia vita. L’avermi scelto ha voluto dire molto. Ho sempre pensato che se aveva visto qualcosa in me, se era pronto a credere nel mio talento, significava che questa era la mia strada.

In lei vide la bellezza innocente

di Tadzio?

Forse la giovinezza, la purezza. La bellezza è soprattutto un’energia, qualcosa che arriva dall’interno.

Thomas Mann paragonò il giovane al Narciso del mito greco. Lei è narciso?

Sì, il giusto. La danza porta a esserlo. Sempre davanti a uno specchio

sei costretto a guardarti anche quando non vorresti. Ci sono giorni, tanti, che desidererei non avere specchi intorno.

Non sarà troppo critico, pensi a noi poveri mortali...

Per tutti i ballerini il confronto con sé stessi è complicato. Faccio fatica a riguardare i miei video. Ed è così anche per i colleghi. Siamo molto autocritici.

Teme di vedere il corpo che cambia?

Non sono cambiato granché, anzi negli ultimi anni modificando l’alimentazione mi sono asciugato. Non fumo, niente alcol, bevo sei litri di acqua al giorno. Dormo otto ore. Non è stato sempre così.

C’è stato il tempo dello svacco?

Prima dei trent’anni, nel periodo di maggiore ansia e fatica, mangiavo di tutto: biscotti, merendine, gelati e anche patatine.

Pensa a cosa farà quando smetterà di ballare?

Quasi mai. So che se ci pensassi sbaglierei. Non devo cercare una soluzione. Troverei solo quella sbagliata. Sarà la vita che mi porterà a fare la cosa giusta. Così almeno è stato finora. Non avrei mai creduto di fare un programma in tv, né di portare la danza nelle piazze, come è successo con OnDance. Ancora una volta il destino mi ha messo davanti le scelte da fare.

Quando cala il sipario, arriva mai il buio?

Ballare mi aiuta a ritrovare me stesso, anche nei momenti più difficili della vita. È sempre stata la luce che mi rigenera dall’interno. È come entrare in un altro mondo separato dalla realtà. Una scatola magica, fatta di bellezza, arte, musica. Un luogo dove dimentico ogni dolore. 

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Terry Marocco