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Quanto vale un monumento, oltre la retorica?

L'incendio di Notre Dame ci impone di capire quale sia il reale significato di un'opera d'arte

Mentre vedevo bruciare il tetto di Notre-Dame, e non potevo sapere quali fossero le proporzioni dell’incendio, non ho mai perso la fiducia nelle capacità di reazione dell’uomo, e la certezza che la ricostruzione sarebbe stata comunque possibile. Anche ex novo. A maggior ragione oggi che le parti vitali della struttura risultano salve. Se anche l’impresa di ricostruzione fosse stata dieci volte più vasta, la ricostruzione in stile sarebbe possibile come lo fu quella della seconda metà dell’Ottocento. Dunque un danno non irreparabile. E una data, il 15 aprile, che si ricorderà come l’inizio della rinascita, una vera resurrezione pasquale dopo la passione. La passione è stata anche nostra, con la sofferenza e il pathos di quanti vedevano in televisione un fuoco apparentemente indomabile e, dall’alto, una vastità perimetrale delle fiamme che sembravano ovunque diffuse. E sarà stato anche, ma solo per la parte superiore del soffitto ligneo. Oggi le vedute all’interno della chiesa ci mostrano pilastri, pavimenti, volte, statue e vetrate, sostanzialmente intatti. Il primo lotto di lavori di restauro, quello sulla crociera e intorno alla guglia caduta era di 10 milioni di euro, per il consolidamento e la manutenzione delle strutture. Il monumento, per un restauro integrale, chiedeva 150 milioni. C’eravamo quindi abituati a una situazione pesante, polverosa, difficilmente recuperabile.

La forza emotiva delle minacce e del rischio ha fatto il miracolo: in pochi giorni, pare, sono stati raccolti più di un miliardo di euro con cui, di Notre-Dame, ne rifai otto. L’emozione ha dato anche la misura dell’amore per l’arte, o della commozione, o della devozione di un popolo cristiano che non è stato ferito, ma che è rinato stringendosi intorno alla chiesa. Esattamente l’opposto dell’11 settembre. Non un morto, non un atto criminale, non un incendio doloso, non l’Isis; ma il caso. Ovvero un cortocircuito dell’impianto elettrico sulle impalcature per il restauro. Ho pensato al molto più crudele destino, con danni, mai irreparabili, ma più estesi e violenti, alle cattedrali di Venzone e Gemona dopo il terremoto del 1976, in Friuli. Un’occasione per rimeditare il destino di città e monumenti e credere che, sul piano simbolico, è necessaria la ricostruzione, perché allude alla integrità della popolazione. Ma se questa è la storia di speranza di un post terremoto, l’incendio è invece il destino del teatro La Fenice di Venezia e del Petruzzelli di Bari; e anche di molti altri teatri abbandonati dall’incuria o di aree terremotate ad alto rischio. Sono scorci, illuminazioni, un percorso che potrebbe essere mistico, iniziatico. Ma, per l’appunto, con un significato simbolico. In Italia non bruciano i simboli: bruciano o cadono le pietre della storia, come è accaduto con il crollo della prima crociera della Basilica di San Francesco d’Assisi, con la cattedrale di Noto, con l’abbazia di Sant’Eutizio a Preci e la chiesa di San Benedetto a Norcia, entrambe in Umbria. Qui non solo la situazione è irreparabile ma sono andati perduti oggetti unici, perché in Italia i monumenti sono il respiro della storia, non simboli o concetti.

La storia di Notre-Dame non è quella di uno dei grandi monumenti della storia dell’arte, ma quella di uno spazio molto spirituale che uno ha visitato e di cui ha sentito l’aura, è quella che si rimpiange. Non c’erano cose degne di Michelangelo o Raffaello. E il Guido Reni pare salvo. Si tratta di rifare il tetto e interventi di questo tipo in Italia li abbiamo già sperimentati, sono stati inevitabili. Per la cattedrale di Noto, dove la situazione è stata ben più grave, il restauro è stato migliorativo. La soluzione finale, cui ho partecipato, ha dato piena soddisfazione. Nessuno rimpiange il crollo, si festeggia la ricostruzione. È il significato spirituale di questa circostanza. L’edificio è stato ferito, ma resiste. Sono scemenze le dichiarazioni di declino dei valori culturali e spirituali, sia in termini di valore storico, sia l’abbattimento. Non si è trattato di terrorismo, non c’è stata alcuna violenza simbolica, si è determinato un cortocircuito.

Anche l’architettura di un grande architetto può essere vittima di un incendio ma può essere restituita con i disegni originali. Si tratta di un’architettura iniziata nel Duecento largamente alterata nei secoli. Ciò non toglie nulla al valore simbolico, ma esclude che si possa provare dolore. Facciata e perimetro sono salvi. Andranno ricostruite la crociera e le guglie. Paradossalmente a crollare è stata una delle parti più recenti: la guglia era del 1870. Non si tratta di un Caravaggio, di un Masaccio, di un Piero della Francesca perso, non è accaduto nulla di tutto ciò. Si tratta di una struttura ottocentesca, quindi abbastanza vicina al nostro tempo e gusto. La cattedrale come la vediamo oggi è in gran parte il risultato dei restauri ottocenteschi dell’architetto Eugène Viollet-le-Duc. All’interno non ci sono opere antiche, ci sono i muri e alcuni affreschi del secondo Ottocento. Non è come una chiesa italiana che ha un palinsesto secolare. L’arredo è di sculture neogotiche minacciose, tipo E.T., immagini scenografiche, nessun capolavoro.

Ma cosa abbiamo perso di Notre-Dame? Ditemi un nome, ditemi un monumento, una statua, una scultura. La corona di Cristo? È una reliquia finta. La parte importante è nelle due torri, restate intatte. Basta retorica, bisogna distinguere tra le opere d’arte e le cartoline. Ciò che è accaduto non era prevedibile. Nessuno aveva mai pensato al cortocircuito legato a un’impalcatura. Forse si è stati leggeri per consuetudine. Io, appena ho visto quello che stava accadendo, ho pensato a un problema legato al restauro. Anche gli incendi fanno parte della storia dell’arte e, in ogni caso, a differenza dell’11 settembre a cui è stato paragonato per forza evocativa, questo evento si riduce a un incidente di cantiere senza altre implicazioni. Certo, la lezione qui potrebbe essere proprio nello spunto per ripensare ai sistemi delle impalcature. Facciata e perimetro sono salvi. Andranno ricostruite la crociera e le guglie. Ora aspettiamo la resurrezione, come ha detto Emmanuel Macron. Tra cinque o sei anni la vedremo nuovamente, grande, peraltro, grazie alla generosità dei magnati del lusso Bernard Arnault e François-Henry Pinault. Le cifre già stanziate sono superiori a quelle necessarie. Tra dieci anni Notre-Dame sarà più bella di prima.

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Vittorio Sgarbi