Non è questo il punto
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Non è questo il punto

Le chat hanno rivoluzionato l'uso della punteggiatura e i "punti fermi" sono in via d'estinzione, alimentando un "pragmatismo velleitario"

Tre lustri di Anni Zero ci hanno decisamente sfiancato.

Sì, va bene, i “si stava meglio quando si stava peggio” sono decisamente fuori tempo massimo, l'impressione che tutto vada a rotoli è solo un'impressione, etc, etc.

Eppure, non so voi, ma io sono stremato.

Sarà anche che questo 2015 è stato un anno particolarmente duro, anche pragonato agli anni duri che stiamo vivendo, ma insomma, ogni puntualizzazione sulla nostra vita 2.0 suona come un colpo mortale a tutto quello che abbiamo sempre considerato essere la nostra “civiltà”.

Ad essere a rischio sono i nostri valori, i nostri punti fermi.

Punto sotto attacco

E non ha niente a che fare con l’Isis (che, a dire il vero, è un brand occidentale edificato e pubblicizzato attraverso strategie e valori decisamente occidentali): i colpi mortali alla nostra sopravvivenza, etica ed estetica, vengono da noi stessi, che siamo molto più bravi dei terroristi dello Stato Islamico ad autoannientarci.

Secondo un “nuovo studio” condotto dalla Binghamton University di New York (il solo fatto che ne esistano di “vecchi” avrebbe dovuto metterci in guardia) afferma che “chi vuole apparire simpatico, alla mano, spontaneo dovrebbe evitare in ogni modo di ricorrere al punto fermo alla fine di un periodo”.

La punteggiatura, secondo quanto i ricercatori avrebbero appreso studiando le reazioni dei soggetti di studio (le cavie erano studenti, e già un brivido non può che correrci lungo la schiena, quella massa di sfaticati zuzzurelloni sono un target raccapricciante) continuerebbe a svolgere un ruolo fondamentale nella comunicazione, ma le sue regole sembrano essere irreversibilmente cambiate.

"Quando si messaggia, automaticamente si fa a meno di alcuni segnali che, invece, vengono inviati durante la conversazione faccia a faccia. Quando si parla a qualcuno, si trasmettono altre informazioni tramite lo sguardo, le espressioni facciali, il tono di voce, le pause etc. Ovviamente le persone non possono usare tutti questi meccanismi quando inviano un messaggio. Quindi ricorrono a ciò che possono: alle emoticon, ad esempio, o, in questo caso, alla 'giusta' punteggiatura".

Ove con “giusto” s’intende tutto ciò che non è freddo e rigido, tutto ciò che è spontaneo ed emotivo (poveri cari, sono tanto sensibili!).

Ci si aspetterebbe che gli studiosi, inorriditi, invitassero gli Stati Occidentali a perseguire gli emoticomani,e invece no, al banco degli imputati è finisce il punto fermo.

Senza fine

Secondo un articolo recentemente uscito su The New Republic il punto è diventato un simbolo aggressivo, freddo, distaccato e non sarebbe più il modo naturale di chiudere una frase, ma di segnalare il proprio disappunto rispetto a come “la chattata” si sta svolgendo.

Nelle chat, per separare una frase dall’altra, basta inviare più messaggi, separando pensieri e parole con spazi, considerati meno netti, più “discorsivi”.

Ed ecco che la faccenda si estende ad altri segni di interpunzione, tanto che il sarcasmo, o banalmente il tono di un messaggio devono essere irrimediabilmente sottolineati da faccine tristi, serie, arrabbiate, perplesse e così via, il tutto innaffiato di punti escaltamativi e interrogativi, moltiplicati più o meno a caso, perché ogni conversazione non risulti seriosa, o normale, ma conviviale, rassicurante, leggera.

Così come la tempestività ha sostituito la riflessione, l'"invio" ha sostituito il punto, che oltre a suonare vecchio suona quasi offensivo, come un modo per chiudere conversazioni che non dovrebbero essere chiuse, che dovrebbero rimanere aperte, senza punto finale, perché portate avanti per arrivare a nessun punto.

Pragmatismo velleitario

Ed ecco il paradosso: l'azione viene prima del pensiero, si scrive prima di pensare a cosa scrivere, e questo, in teoria, dovrebbe renderci pragmatici. Ma siccome non abbiamo niente da dire, non abbiamo punti a cui arrivare, il nostro pragmatismo occidentale è prossimo all'estinzione. Rimbecilliti come siamo dai nostri mezzi do comunicazione perdiamo di vista il punto: il contenuto da comunicare.

Prendiamo le chiacchiere senza punto dei talk show.

A ogni trasmissione d'approfondimento sull'Isis e sul mondo arabo in cui gli ospiti parlano, parlano e parlano senza arrivare a nessun punto, mi guardo un video di propaganda del Califfato, che và sempre dritto al punto (vi faremo un paiolo così), e sospiro sempre più convinto di trovarmi dalla parte sbagliata della barricata.

Quelli cercano di convincere della gente a farsi esplodere, ad arruolarsi in un esercito di scappati di casa che minaccia Obama con lo stesso piglio dei bulli a scuola contro il favorito della maestra.

E non solo vengono presi sul serio.

Ce la fanno alla grande.

Noi, per decidere a che ora e dove si andrà a mangiare la pizza coi colleghi prima di Natale avremmo bisogno di bravissimi mediatori culturali vista l’incomunicabilità che domina fra i partecipanti ai gruppi su whatsapp (e, per nessuna ragione, dopo giorni di messaggi, riusciremo a mangiare la pizza tutti insieme).
Si dirà che sto banalizzando, esagenrando, che probabilmente perchè stanco, stremato, rincoglionito sto girando a vuoto.

Ma non è questo il punto.

O si?

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Marco Cubeddu

Nato a Genova nel 1987, vive a Roma, è caporedattore di Nuovi Argomenti e ha pubblicato i romanzi Con una bomba a mano sul cuore (Mondadori 2013) e Pornokiller (Mondadori 2015). Credits foto: Giulia Ferrando

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