Sei italiano se...
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Sei italiano se...

Stranieri in Italia e connazionali all'estero: ecco come capire quanta "italianità" ci si porta dietro (o dalla quale ci si libera)

Siamo quelli della pasta condita col sugo fatto a mano, della pizza cotta nel forno a legna, del caffè espresso bevuto al bancone, ma anche quelli delle file disorganizzate, della voce troppo alta, delle reazioni emotive violente e della gestualità pittoresca: siamo italiani e, volente o nolente, si capisce. Con "l'italianità" fanno i conti gli stranieri che vengono a vivere nel nostro paese e i connazionali che si trasferiscono all'estero.

Esiste un momento, nella storia della migrazione di una persona, nel quale i contorni tra la nazione di provenienza e quella scelta per vivere si fanno più blandi e ci si trova nell'habitus ramingo di cittadino di un "altrove" e il processo passa anche dalle piccole cose quotidiane. 

Il giornalista irlandese di SwideHugo Mc Cofferty vive da alcuni anni in Italia e ha creato una sorta di elenco ironico dei segnali per capire quando ci si sta "italianizzando".

Se, ad esempio, il caffè all'improvviso è solo "espresso" vuol dire che i beveroni a base di ceffè solubile allungato con acqua o latte che si bevono oltralpe sono solo un ricordo. E a colazione niente uova e bacon, ma solo latte e biscotti.

Lo straniero in Italia, poi, scopre che non si vive di soli "macaroni", ma che i formati di pasta sono decine e per ognuno c'è un sugo che si sposa meglio e che, a pranzo, un bicchiere di vino rosso non si nega a nessuno.

Il gelato, quello artigianale, sempre per restare sul fronte culinario, non è un "premio" per bambini, ma una delizia che non conosce età e che, soprattutto d'estate, è consumato per strada tanto dai giovani quanto dagli anziani, dai manager in pausa pranzo alle casalinghe al parco con i figli.

Ci si accorge che ci si sta "italianizzando" quando - specie per chi viene d'oltremanica - non ci si sconvolge più per l'incapacità genetica degli italiani di rispettare una coda o una fila in maniera ordinata, per la mania di lamentarsi di tutto e di tutti -  specie in coda negli uffici pubblici; in quegli uffici nei quali la burocrazia è lenta come alcuni impiegati che paiono "disturbati" dalla presenza dei clienti.

In Italia si parcheggia sul marciapiede, si litiga in macchina, si alza la voce al telefono, si guida come se si fosse soli sulla pista di un circuito automobilistico e si indossano gli occhiali da sole anche al chiuso (poveri inglesi che non dimenticano mai l'ombrello).

L'Italia è il paese nel quale ad agosto è tutto chiuso, nel quale se si è in ritardo con un lavoro non è poi così tanto grave, si recupererà in seguito; è il luogo dove emozioni e gesti sono espressi con noncuranza e l'aplomb britannico è quanto di più lontano esista nel dna peninsulare. E' tutto vero e Mc Cofferty si è accorto del suo processo di italianizzazione osservando il suo indossare questi costumi senza sforzo alcuno.

Con "l'italianità", però, fanno i conti anche gli italiani che vivono all'estero che, se non dimenticano il piacere dell'espresso (da bere solo, però, in locali gestiti da connazionali se no fa schifo), non disdegnano il caffè di Starbucks, il cortado con leche condensada o il café au lait.

Vivendo fuori dal suolo natale si capisce che la mancia, nei locali, non è "fare la carità" ai camerieri, ma quasi un obbligo etico; che chiedere la "doggy bag" è cosa buona e giusta e che un buon bicchiere di vino con la pizza ci sta proprio bene.

Si iniziano ad apprezzare i negozi aperti 24 ore su 24 o quelli chiusi fino alle 17: perchè dalle 14 alle cinque del pomeriggio la siesta è sacra. Fuori dall'Italia si mangia quando si ha fame: che siano le dieci del mattino per mandare giù salsiccia e fagioli o le tre del pomeriggio per pranzare con paella e sangria non importa. Non esiste colazione, pranzo e cena come ha insegnato "mammà"ma un melting pot culturale che permette di nutrirsi in totale libertà e di aprire nuovi orizzonti al gusto e alle tradizioni.

La consegna a domicilio, per esempio: in Italia solo la pizza la domenica sera, o al massimo le vaschette dai cinesi arrivano al portone di casa. Altrove tutto il cibo può essere da asporto e la consegna di una cena pronta per essere consumata può risolvere più di un problema.

Lontano da casa ci si accorge che a Natale si può fare il bagno al mare, ma anche che in pieno agosto può servire l'ombrello e si può andare a lavoro come se niente fosse; che le feste sono "feste" dappertutto, ma che non tutti i popoli sanno "festeggiare".

Si comprende che è importante e bello "fare gruppo" come succede alla comunità inglese all'estero - ma anche alla tedesca e all'olandese - che ovunque sa ricreare una propria fetta di "casa" e di reciproco appoggio e aiuto.

Gli italiani questo lo sanno fare molto meno, perchè finisce per prevalere uno strano istinto italico a "fregare" il prossimo, a parlare male del vicino e ad ostentare la certezza genetica di essere "migliore" di chiunque altro. Quando un italiano all'estero perde questa "italianità" può finalmente affermare di aver capito la lezione.

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Barbara Pepi