Auguri e figli maschi
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Auguri e figli maschi

Generazioni allo specchio La parola teenager compie 70 anni, ma nel frattempo tutto è cambiato: la vicinanza fra i padri e i loro ragazzi è diventato il tema più attuale nelle dinamiche famigliari. Un percorso lungo, tra mutismi, incomprensioni e opposizioni dichiarate. Storia e storie di una liaison (un po’) pericolosa

Nel 1944 l’America aveva altro a cui pensare che monitorare lo slang. Eppure la nascita dei teenager segnò un cambiamento così epocale che sia l’Enciclopedia britannica che American speech se ne accorsero: "teen-ager" era la nuova parola di metà secolo, una di quelle destinate a far impazzire le famiglie e il mercato per i settant’anni a venire. Non nacque solo una parola, ma vennero puntati i riflettori su un’età che prima non esisteva. Prima, si era bambini o adulti. Figli o padri. Adatti o inadatti alla vita vera, alla quale si accedeva quasi d’improvviso, nella società occidentale senza nemmeno un vero rito di iniziazione, se non quello dei pantaloni lunghi o della visita al bordello, del fucile da caccia o della chiamata alla leva.

L’adolescenza ricca di complessità come la conosciamo e spesso stigmatizziamo oggi, l’età dei sette libri di Harry Potter, dai 13 ai 19 anni (gli anni che in inglese finiscono appunto per teen), non era codificata: i ragazzini di settant’anni fa – e i loro genitori – non potevano immaginare che un giorno i loro coetanei sarebbero stati gli shop-addicted che rubano nelle ville hollywoodiane per assicurarsi trucchi e borsette da migliaia di dollari. I teenager sono diventati l’oggetto di studio più appassionante proprio per quei soggetti che prima sarebbero passati sopra a pianti notturni, scene isteriche di prevaricazione e possesso, mutismo immotivato, lieve depressione, reazioni passivo-aggressive e ribellismo reazionario, incendiato prima da rock, alcol, sesso e droghe, poi da social, Hello Kitty e gender bender. Non parliamo di sociologi, psicologi, antropologi che in fondo hanno sempre sospettato che la pubertà nascondesse qualche mistero insondabile e redditizio. Ma di madri e padri. Veramente, soprattutto di padri. Veramente, soprattutto di padri di figli maschi. Sembrano loro i più eccitati, sorpresi, travolti dall’agnizione. Dopo settant’anni, i padri si sono accorti che un figlio adolescente è il compagno ideale e il nemico potenziale, l’oggetto d’amore e la catarsi, il totem e il tabù.

Se ne è accorto persino Noè: nell’anacronistico, e quanto mai realistico, Noah di Darren Aronofsky, il patriarca Russell Crowe ha indubbiamente a che fare con i tormenti ormonali di un teenager in piena rivolta contro il padre-tiranno. E questo lo angoscia al punto da rischiare la vita pur di capire cosa passi per la testa di quel ragazzino zuccone. Persino quando la vita del pianeta è prossima alla fine, come in After Earth, i protagonisti sono un padre e un figlio teenager: il tredicenne fallisce e il padre molla la carriera e parte in missione con lui. L’obiettivo dovrebbe essere salvare il mondo, ma a guardare Will Smith con il figlio Jaden gironzolare tra gli asteroidi, sembra più il tentativo di "riallacciare un rapporto". Sono i padri a trascorrere notti insonni per trovare un virile compromesso con la prole. Sono i padri ad alzare la testa verso i ragazzini dopo averla piegata sulla culla e a plasmarsi per diventare i fratelli dei propri figli. Il che a volte crea confusione, come dimostra L’invenzione della solitudine, monologo con cui Giuseppe Battiston è in scena in questi giorni, bella riduzione teatrale del romanzo di Paul Auster fatta da Giorgio Gallione. Battiston-Auster si analizza come padre che sta per divorziare e abbandonare moglie e figlio e come figlio di un padre assente e appena morto, nella cui casa non ritrova nulla di sé.

La svolta i teenager l’hanno certificata quando i libri in cui si chiedevano "Perché non mi capisce?" sono stati surclassati per vendite e dibattito da quelli in cui i padri si torturano su "Perché non lo capisco?". Saggi e fiction sul dialogo possibile tra padri e figli teen si sprecano: Gli sdraiati di Michele Serra, Scazzi di Michele e Nicola Neri, fino all’accattivante Golden Boy di Abigail Tarttelin, romanzo sulla diversità di un sedicenne intersex e sul ruolo del padre che di nuovo molla tutto – carriera politica compresa – per intraprendere la missione "uomo di famiglia". E poi – forse più di tutti, anche se le oltre 200 mila copie vendute raramente sono state lette in questa chiave – Se ti abbraccio non aver paura (Marcos y Marcos) di Fulvio Ervas che narra la storia di Franco e Andrea Antonello, poi ripresa nel loro libro Sono graditi visi sorridenti (Feltrinelli), che non è piaciuta solo per empatia nei confronti di un ragazzo autistico. Ma perché in quel rapporto fatto della lotta per liberarsi a vicenda da trappole visibili e non, c’è la straordinaria dinamica maschile della complicità. Per i settant’anni dei teenager, gli auguri vanno ai padri: condividere quella complicità potrebbe rigenerare un’adolescenza che mostra ormai i segni dell’età.

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Stefania Vitulli