Chi legge Harry Potter è meno razzista e più tollerante
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Chi legge Harry Potter è meno razzista e più tollerante

E' il risultato di una ricerca italiana pubblicata dal Journal of Applied Social Psychology

Tra babbani, maghi, streghe, cappelli parlanti, giganti buoni, centauri, cani a tre teste, licantropi e mutanti di vario genere Harry Potter è la quintessenza del concetto di "Il mondo è bello perchè è vario" e pare che i ragazzi che leggono la saga del maghetto di Hogwarts finiscano per essere più inclini degli altri a tolleranza, apertura mentale e rispetto per il diverso. Lo sostiene uno studio italiano pubblicato sul Journal of Applied Social Psychology  e condotto da ricercatori dell'università di Modena e Reggio.

Sono stati analizzati, in via sperimentale, i comportamenti sociali di bambini delle elementari e ragazzi di medie e superiori che abbiano letto i romanzi di J.K. Rowling e che abbiano creato empatia con il protagonista delle vicende.

Pare che il fatto che Harry Potter non avesse i genitori, fosse amico di Hermione che non era una "maga pura", avesse come padrino Sirus, un licantropo che ha avuto problemi con la giustizia, sviluppi - nei giovani lettori - una sorta di capacità di difendere i meno fortunati e di accettare i "diversi".

Lo stesso Harry, spesso vittima di piccole e grandi ingiustizie, per loro rappresenterebbe uno stimolo e un catalizzatore per discernere il bene dal male. Questi fattori sarebbero più sviluppati nei giovanissimi che hanno avuto modo di ascoltare le storie di Potter e compagni in tenera età: per questi bimbi "i mondi possibili" sono tanti e accettare a braccia aperte bambini con la pelle di un colore diverso, che non parlano bene la loro lingua, che vengono da contesti meno fortunati è cosa facile e naturale.

Lo studio ha interessato anche il New York Magazine Science che ha riportato ampi stralci della ricerca. Chissà se anche sugli adulti una sana lettura di Harry Potter sia in grado di alzare l'asticella del rispetto per il prossimo e la tolleranza per l'altrui "diversità"?

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Barbara Pepi