L'arte e la tv nel bene e nel male...
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L'arte e la tv nel bene e nel male...

...Nel male, soprattutto

Ancora una volta Cattelan e i soliti idioti. Non quelli che idioti lo sembrano davvero, anche se probabilmente non lo sono, con la S maiuscola con la loro comicità grossolana. Gli altri.

Sta, la televisione, inquinando anche il sistema dell’arte?

Cattelan, dal canto suo, è sicuramente uno degli artisti più televisivi del suo tempo. E le sue provocazioni, fatte apposta per catturare l’attenzione dell’Ansa e dall’Ansa ai telegiornali, sembrano nascondere la sua incapacità spirituale di creare davvero qualcosa.

In fondo, tutti i grandi sovversivi, nel mondo dell’arte, consapevoli o meno di esserlo stati, hanno creato qualcosa di spirituale. Penso al lavoro di Duchamp, che più di ogni altro ha impresso la sua impronta nel mondo e nel mercato dell’arte sovvertendo il valore d’uso di un orinatoio.

Era il 1917 e quell’inconsapevole iconoclastia, assieme critica e fondamento artistico impose per sempre uno nuovo sguardo rispetto all’arte. Il manierismo di Cattelan invece sembra non sia volto a consolare la ferita inconsolabile dell’esistenza, il senso profondo del caos che prevale e il nulla che avvolge i pensieri di chi non ha fede, se non nella bellezza, ma solo funzionale allo scherzo da goliardi, alle mascalzonate da monelli.

Se rischiamo di non capire più la differenza tra uno show televisivo e un museo, però, non è certo colpa di quest’ultima messa in scena. Il discorso su Cattelan è un discorso generale. E riguarda un artista che, con tutte le sue contraddizioni, opera secondo binari di consapevolezza e di riconoscimento internazionale incontestabili.

E qui sta il punto.

Perché Cattelan, premiato in quanto Cattelan, che ha sempre fatto Cattelan, avrebbe dovuto non fare Cattelan?

Perché essere e fare Cattelan, cioè un tipo televisivo di artista (come gli psicologi da talk show, un po’ farseschi) dovrebbe essere irriverente quando lo si premia proprio per ciò che è stato e ciò che ha fatto?

Personalmente, andrei volentieri a cena con I Soliti Idioti, ma non li guarderei in tv. Non di mia spontanea volontà, quantomeno. E se me li trovassi in casa, travestiti e farneticanti, vivessi in America, non avrei nessuna esitazione a spianare lo schioppo.

Ma l’indignazione, le lacrime della studentessa che fugge via, la mestizia funerea con chi si denuncia il vilipendio di cadavere, cioè le reazioni sincopate alla performance all’Accademia di Bologna su mandato di Cattelan da parte dei Soliti idioti, sono degne dei soliti idioti.

Gli echi ipocriti di quelli che affidano programmi televisivi a gente come Cruciani e Parenzo e poi pretendono che non facciano i Cruciani e i Parenzo. Quelli che si indignano per Sgarbi e poi, giustamente, lo invitano sempre. Sgarbi, che ha due palle così, artisticamente, fa il suo mestiere, quello per cui è pagato. E, sia o meno un peccato che sprechi il suo talento vendendosi al soldo scandalistico dei chiacchieroni, sono affari suoi.

Per Cattelan è la stesa cosa. Lui impicca bambini in un parco a Milano, scoppia lo scandalo, e lo scandalo fa il suo gioco.

È la contraddittorietà di un mondo in cui Bansky viene invitato a New York e poi lo vogliano arrestare.

Si può discutere del valore di un artista, non del modo in cui dovrebbe accettare di essere premiato per il suo valore.

Se non vi piacciono, non premiate Cattelan e non invitate Sgarbi.

Ma in un mondo come quello dell’arte contemporanea, brulicante della piccineria dei vernissage delle gallerie di provincia, di galleristi per caso, di eterne ragazzine cui la mamma ha aperto una galleria per dargli qualcosa da fare nella vita, di stagiste boriose, checche isteriche, hippy sedati e pantomime da centri sociali, si dovrebbe ringraziare chi, nel bene o nel male, ricorda che, tra succhi e prosecchi, l’arte è grandiosa e ha aspirazioni grandiose.

Il confine tra arte e non arte è sottile come la sfoglia di una cipolla e sta tutto nella complicata sintesi tra il raffinato gusto degli addetti ai lavori, il sanguigno ribollire di entusiasmo del pubblico e le mazzette di danari che i collezionisti sono disposti a sborsare.

Una performance andrebbe giudicata con questo unico e prismatico criterio. Con o senza televisione di mezzo.

Tutto il resto è noia.

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Marco Cubeddu

Nato a Genova nel 1987, vive a Roma, è caporedattore di Nuovi Argomenti e ha pubblicato i romanzi Con una bomba a mano sul cuore (Mondadori 2013) e Pornokiller (Mondadori 2015). Credits foto: Giulia Ferrando

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