John Galliano nuova vita, solite polemiche
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John Galliano nuova vita, solite polemiche

A distanza di due anni dal licenziamento per comportamento violento e insulti antisemiti, l’ex stilista di Dior torna a far parlare di sé per via di un look simile all’abbigliamento degli ebrei ortodossi. E per una nuova collezione molto cool

Giacca nera longuette di taglio sartoriale, pantaloni di Yohji Yamamoto e cappello di feltro grigio topo, griffato Sthephen Jones, dal quale fuoriescono sibillini boccoli dalle punte dorate: non è riuscito a scendere il quarto gradino che fotografi, paparazzi, blogger globali hanno immortalato e trasformato in pixel virali la silhouette di John Galliano nel suo ultimo outfit newyorkese. Le foto hanno fatto il giro del mondo e con esse la polemica sul look dello stilista, che sembrerebbe citare il classico modo di abbigliarsi degli ebrei ortodossi. Anzi, per essere più precisi, degli ebrei hasidim. A niente è servito l’intervento del portavoce ufficiale di Galliano, Liz Rosemberg, che ha sottolineato la natura istrionica del couturier e la sua passione per la libera reinterpretazione degli stili. Il verdetto di uno dei più potenti leader della comunità ebraica americana è arrivato: "Sta cercando di mettere in imbarazzo la gente della comunità ebraica ortodossa e vuole fare soldi con gli abiti indossando proprio i vestiti della gente che ha insultato" ha dichiarato Isaac Abraham al New York Post.

E così a distanza di due anni ci risiamo: era il 25 febbraio del 2011 quando l’allora direttore creativo della Christian Dior viene arrestato in stato di ebbrezza, a Parigi, all’uscita del ristorante La Perle, per comportamento violento e insulti antisemiti. Ne conseguono il licenziamento da parte della casa di moda e un periodo di riabilitazione nella stessa clinica newyorkese che ha ospitato la grande amica Kate Moss e Marc Jacobs. Nel mezzo, poche voci, un’unica uscita pubblica di Galliano, quella per il matrimonio di Kate Moss, che naturalmente ha indossato una creazione vintage dello stilista di Gibilterra. Attorno allo stilista, tanta terra bruciata. Quella che, secondo alcune interpretazioni, avrebbe creato il potente gruppo Lvmh, proprietario della Dior. Un esempio? Pettegolezzi non confermati vorrebbero che Diego Della Valle, sedendo nel consiglio di amministrazione del gruppo francese, non se la sia sentita di scegliere Galliano come stilista per il suo marchio Elsa Schiaparelli.

A fare da cortina di protezione a Galliano restano le amiche di sempre, le top Naomi e Kate, come pure il direttore di Vogue America, Anna Wintour. È stata sua l’idea di proporre una collaborazione tra Galliano e Oscar de la Renta in vista delle sfilate newyorkesi. E per l’occasione de la Renta, già padre della definizione «fashion victim», ha coniato un termine nuovo: "designer in residence". Cosa voglia dire esattamente lo capiremo forse più in là nel tempo, di sicuro la mano del designer in residence si è sentita e la sfilata è stata la più cool di tutta la settimana newyorkese di febbraio.

Intanto il processo sta andando avanti, il 4 febbraio Galliano si è presentato al tribunale del lavoro di Parigi, affermando che si trovava sotto la dipendenza di alcol e farmaci, pertanto il licenziamento sarebbe ingiusto. Per stessa ammissione del giudice che ha respinto, per il momento, il ricorso di Dior. Resta agli avvocati, a Chantal Giraud-van Gaver per Galliano e Jean Néret per Dior, portare avanti la trattativa, a quanto pare tutta economica.

Per quanto riguarda il creativo in versione hasidim, è solo l’ultima delle proteste. In coda a quella per la collezione Clochard del 2000 dedicata ai senzatetto, che scatenò l’ira dei volontari di ogni religione, oppure a quella del 2005 con nani e giganti in passerella.

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Antonella Matarrese