"Ero un'impiegata. E ora faccio la lap dancer"
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"Ero un'impiegata. E ora faccio la lap dancer"

I Night Club, un tempo roccaforte delle straniere, ora sono affollati da lavoratrici italiane. A causa della crisi -il campionato mondiale di pole dance

L’altezza, prima di tutto. Non inferiore al metro e settantacinque, accompagnata da lunghe gambe e curve mozzafiato. E poi gli occhi, da gatta, preferibilmente chiari, su visi da bambola di porcellana. Canoni estetici severi, a cui non si sfugge, controllati con rigore da giudici inflessibili.

Via Manzoni, pieno centro di Milano. Davanti a uno storico locale, che negli anni della “Milano da bere” si vantava di avere fra la sua clientela il jet set internazionale, dove persino l’avvocato Gianni Agnelli aveva un cocktail battezzato in suo onore, c’è un’insolita fila di ragazze. Splendide come fotomodelle - tanto che alcune di loro hanno in mano un book fotografico - ma che indossatrici non sono. Non si trovano lì davanti, infatti, per calcare passerelle in abiti da sera, ma per lavorare come entraîneuse. Fra tutte, ne spicca una. Capelli biondo grano raccolti in una treccia, portamento nobile, zigomi alti e occhi azzurro cielo. Sembra una ragazza di San Pietroburgo. Ma si chiama Manuela, ed è di Pavia.

Via Tonale, zona Stazione Centrale. Defilato in un angolo della strada, ma segnalato da vistose luci al neon che compongono la sagoma di una ballerina, c’è uno dei locali di lap dance più famosi della città. Aperto 24 ore su 24, richiama turisti di passaggio, pubblico straniero, ma anche una clientela affezionata. Un tempo, a ballare sul palco argentato, provviste di parrucche colorate e costumi succinti, proprio come la fragile e splendida spogliarellistainterpretata da Natalie Portman nella pellicola Closer, erano soprattutto ragazze brasiliane. Oggi, in lizza per esibirsi, ci sono Elisa, Federica e Ylenia.

Alcune sono studentesse, che hanno bisogno di un impiego part-time altrimenti introvabile. Altre, invece, un lavoro a tempo pieno lo avevano eccome. Segretarie, centraliniste, hostess, impiegate. E poi ancora indossatrici e aspiranti attrici. Ma a tutte la crisi economica ha “ucciso” il lavoro. E così si sono ritrovate a mettere da parte denaro con un’occupazione che, anni fa, per loro sarebbe stata inimmaginabile.

A spiegare bene la situazione ci pensa Patrizia, 29 anni, lineamenti raffinati e abbigliamento elegante. Ha appena affrontato la (severa) selezione nel noto night club a due passi dal teatro La Scala. E le è andata bene. “Lavoravo da quattro anni come commessa in un negozio d’alta moda in via della Spiga. Lo stipendio non era altissimo, meno di mille euro al mese, ma non mi lamentavo”. Tre mesi fa, la lettera di licenziamento. Motivazione: riduzione del personale. “Ho mandato il curriculum a decine di altre negozi, a Milano e nell’Hinterland. Ma niente. Mi sono anche proposta come cassiera nei supermercati. Senza successo. Il direttore di un noto supermarket mi ha persino detto che ero troppo bella per lavorare lì. E allora mi sono detta: mi gioco la carta dell’avvenenza. Conoscevo questo night club perché a volte ci passavo davanti in pausa pranzo, sapevo quanto erano rigorose le selezioni delle ragazze. Ma ho tentato ugualmente. E ora mi pagheranno 180 euro al giorno, regolarmente retribuita. Certo, non è il lavoro che sognavo da bambina. Ma mica sarà così per sempre”.

Borsa Fendi, jeans attillati e scarpe in vernice rossa, occhi nocciola e capelli ramati, Federica, 31, lavorava come hostess e interprete alla Fiera di Milano. “Per ogni evento di 4-5 giorni riuscivo a portare a casa circa mille euro netti. Nessuna assunzione, certo, e una ritenuta d’acconto da parte dell’agenzia che mi faceva lavorare. Ma facendo due o tre fiere al mese mettevo insieme uno stipendio dignitoso”. Poi tutto è cambiato. Gli ingaggi sono diventati sempre più sporadici, fino a scomparire quasi del tutto. “Mi sono ritrovata da sola, con l’affitto di un monolocale da pagare. Che dovevo fare? Il lavoro come entraîneuse me l’ha proposto un amico, che lavora come buttafuori in quello stesso locale. Si tratta di sorridere, offrire da bere, parlare. Nessuno mi ha mai chiesto di più. I patti sono chiari dall’inizio”.

Hanno chiesto di ballare una scatenata pole-dance, invece, seminuda e disinibita, a Elisa, 30 anni, ex centralinista in un centro estetico, fisico statuario e carnagione ambrata. “Il proprietario del locale appena ha saputo che ero italiana mi ha presa al volo. Loro le italiane le vedono come una benedizione: nessun problema di comunicazione linguistica, niente repentini ritorni in patria, documenti a posto e tesserino sanitario”. “Certo – prosegue – all’inizio è stata dura. Esibirmi di fronte a tutti quegli uomini, per me che avevo provato la “pole dance” soltanto in palestra con le amiche, per scherzo, è stato uno shock. Ma ogni volta chiudo gli occhi, penso di recitare in un film, e tutto passa. A volte mi diverto persino. Del resto il mio sogno era proprio quello di fare l’attrice. Dai sogni però prima o poi ci si sveglia. E si fanno i conti con la realtà”.

Pelle bianco latte e curve sinuose, Ilaria, 28, l’attrice l’ha fatta per davvero. Per una piccola compagnia teatrale, e poi in qualche spot televisivo. E, per mantenersi, lavorava come segretaria in uno studio legale a 1.100 euro al mese. Da quando è rimasta senza lavoro, e gli ingaggi artistici sono scomparsi, si esibisce come ballerina di Burlesque in un night club a due passi dal Duomo di Milano. “Non ci trovo nulla di sconveniente o immorale – spiega – e lo vedo solo come un momento di passaggio della mia vita. Poi quando troverò di nuovo un impiego dove, per lavorare, non dovrò per forza mettermi in lingerie, beh, ricorderò tutto questo sorridendo”.

Sorride raramente, invece, se non quando si esibisce sul palco, Ylenia, 33 anni, originaria di Lecce, mamma di un bimbo di 5 anni. Il suo è lo strip tease più atteso del locale. “Come sono finita a fare la spogliarellista? E’ una storia lunghissima. Dico solo che fino a un anno fa mi occupavo di contabilità. Ora riesco a pagarmi affitto e bollette, ma solo in attesa di trovarmi un altro lavoro serio. E ogni sera prego che in questo posto non entri mai nessuno che conosco. Anche se la vera vergogna non è questa, ma guardare negli occhi mio figlio e non avere nulla da offrirgli”.

Racconta l’addetto alla sicurezza del locale: “Una volta questi posti erano un’esclusiva delle russe e di qualche sudamericana. Le italiane facevano le snob. Ora invece sai quante sono? Tantissime. Anche noi però, ovviamente, sentiamo la crisi. E i compensi per le ragazze non sono più quelli di una volta. Ma non se la passano per niente male. Perché, chissà per quale strano motivo, la gente in tempo di crisi rinuncia a tutto. Tranne che ai vizi”.

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Arianna Giunti