Coca Cola per tutti
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Coca Cola per tutti

Ha fatto e continua a far discutere lo spot con la coppia gay che la multinazionale ha trasmesso durante il Super Bowl

Che barba e che noia. Abbiamo scoperto in questi giorni che la Coca Cola, colosso industriale e parola più conosciuta del mondo, udite, udite, sa fare le pubblicità. I coretti di bambini che cantano di quanto è bella l’America con le immagini sotto che gridano ad ogni fotogramma “siamo politicamente corrette!, siamo politicamente corrette!” funzionano di brutto.

Lo spot, trasmesso durante il Super Bowl (che è l’evento sportivo per eccellenza in America), commuove gli animi sensibili e tocca le corde dell’anima dei pochi (ma molti) che dicevano che la Coca Cola era una multinazionale cattiva e si doveva boicottarla (comprando Pepsi, si presume).

Adesso, visto che mostra una coppia omosessuale con figlioletta (diversi preferiscono l’orrendo termine alla moda "omoparentale") sembra siano diventati dei santi anche i cocacolai.

Lo spot è un’inno all’American way of life, soprattutto grazie alle note di America The Beautiful, canzone patriottica a stelle strisce, qui cantata in differenti lingue, di differenti orientamenti sessuali, un inno alla diversità. E via, a discutere di valori.

I conservatori si arrabbiano perché vorrebbero che la Coca Cola fosse col fucile puntato davanti a quei “finocchi” di San Francisco (che tanto sono a dieta e bevono solo centrifugati di sedano) e i fricchettoni gridano all miracolo e si domandano quando cadranno gli ultimi Barbablù come Guido Barilla.

È tutto un vorticare di prese di posizoione apodittiche che vanno a battere dove il dente duole, cioè alle olimpiadi di Sochi (da notare che, nonostante Putin non sia esattamente “pro gay” , la Coca Cola ne resta uno dei maggiori sponsor) e a darsi bordate a vicenda pro o contro i LGBT, cioè le comunità lesbiche, gay, bisessuali e transessuali (i quali però, crudelmente, se ne infischiano della neonata categoria degli “asessuati” e di quella degli etero effemminati che da qualche anno si chiama “metrosexual”).

Che ne penseranno loro?

Bevono ancora Coca Cola?

Mangiano la pasta Barilla?

E zoofili e necrofili, cosa ne pensano?

Sembra ci siano diversi feticisti che si arrovellano: “Dovremmo proporre di adottare un bambino anche noi, che stiamo con calze di nylon e tacchi 12? Chi farà il genitore 1 e il genitore 2? Ma soprattutto: cosa gli daremo da mangiare? Cosa da bere?”

Quello che stupisce di questi dibattiti è che la gente creda che quelli che li lanciano ci credano davvero.

È un’ipotesi, per carità, e per alcuni di loro è anche vero. Ma in generale io preferisco pensarli più furbi e interessati a mantenere la loro posizione di opinion leader che fessi senza speranza.

Una multinazionale (che altro non è che un’impresa che ce l’ha fatta meglio di altre) vuole solo vendere. Quello è il suo scopo. E la pubblicità serve a questo.

Vendere a chi?

A nessuno sano di mente gliene frega un tubo di con chi o con che cosa si accoppia la gente e perché ci si vuole accoppiare. Il punto sono i soldi. La famiglia, da questo punto di vista, è un tasto dolente. Perché oltre a essere lo strumento sociale con cui ci si tramandano i beni di generazione in generazione, si occupa anche della formazione dei bambini. E davvero, se ne può discutere all’infinito, ma se esistono differenze biologiche tra gli uomini e le donne, su cui si poggia la combinazione stile lego che dà vita alla vita. E non si capisce perché un’esigua minoranza che ha gusti sessuali (legittimi, divertenti, sempre esistiti, come vi pare) profondamente differenti dalla maggioranza debba dettare legge in fatto di educazione della prole.

Sono questioni complesse, processi storici che evolveranno nei decenni. La base reale è che il matrimonio, più che un sacramento, non solo per definizione, è un contratto. Il punto è che ballano milioni e milioni e che i gay, come consumatori sempre più cruciali nel mercato, fanno e faranno pressioni per veder riconosciuto il loro cosolidato potere d’acquisto (e produzione).

Quello che infiamma le masse è l’ideologia, ma quello che muove le ideologie sono i denari.
Imposibile dire ai comunicatori di smetterla di roteare il maglio della sessualità per vendere le loro poche idee. Inutile anche provare a dire alle anime candide che pensano alla pubblicità come pubblicità progresso di ricomporsi e smetterla di emozionarsi o arrabiarsi per qualsiasi trovata di marketing. Chi vuole pensare che tra Barilla e Coca Cola passi un abisso di etica e “mission” è (purtroppo) libero di farlo.

Per quanto mi riguarda continuerò a bere Coca Cola e mangiare pasta Barilla.

Perché always Coca Cola e, dove c’è Barilla, c’è casa.

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Marco Cubeddu

Nato a Genova nel 1987, vive a Roma, è caporedattore di Nuovi Argomenti e ha pubblicato i romanzi Con una bomba a mano sul cuore (Mondadori 2013) e Pornokiller (Mondadori 2015). Credits foto: Giulia Ferrando

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