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Mirco Lazzari gp/Getty Images Sport
Lifestyle

Vai, Valentino!

Qualcuno, come Gad Lerner e Marco Travaglio, storce il naso. Ma Valentino Rossi è un eroe nazionale contemporaneo, non fare il tifo per lui è solo snobismo

Basta dire Valentino Rossi, ed è subito Inno nazionale.

La cosa, strumentalmente, fa storcere il naso a qualcuno, come Gad Lerner e Marco Travaglio.

Per chi, come me, non ha mai visto una gara di motociclismo (o di Formula 1, se è per questo), non salirebbe mai su uno di quei bolidi a due ruote che sembrano fatti apposta per sfracellarsi alla prima curva (ma io ho problemi anche con le biciclette, suppongo che la mancanza di equilibrio e coordinazione sia da imputarsi a un qualche deficit neurologico ereditario), Valentino Rossi è "solo" un eterno ragazzo che ha vinto e guadagnato tanto con uno sport di cui non gli importa un fico secco.

La sola cosa che mi viene in mente, se penso a lui (e non è che mi capiti esattamente spesso), è Ibiza, come concetto metafisico di divertimento eccessivo per giovani goderecci e disinibiti che vogliono sentirsi "vincenti". Un concetto che, anche se per mia sfortuna non ho mai approfondito quanto avrei voluto, mi sembra spiritualmente inattaccabile, visto che, in vari modi, tutti desideriamo farlo: vincere e godere non è così brutto come lo fanno sembrare i radical chic.

Affaire Valentino

In questi giorni, l’affaire Valentino, con la sua dose di incertezze prettamente sportive, per me del tutto irrilevanti, ha definitivamente sancito l’ascesa del "Dottore" (non ho la più pallida idea del perché, ma credo di averlo sentito chiamare così un pomeriggio di diversi anni fa a Studio Sport, che a volte guardavo al rientro da scuola in attesa dei cartoni animati) nel pantheon degli eroi nazionali.

Gli italiani - tutti, eccetto Lerner, Travaglio e, probabilmente, Biaggi - lo amano.

In questi giorni si sono firmati appelli, petizioni, pubblicati articoli, post, link in sua difesa a tutto spiano. Difesa di cosa, di preciso, non saprei.

Ma qualunque cosa sia successa a Sepang, (ovunque si trovi Sepang), a prescindere da come andrà a finire la prossima (decisiva?!?) gara (chissà dove) e soprattutto a prescindere da chi abbia ragione e chi torto (l’altro tizio chi è? Uno spagnolo?) il punto è che una nazione intera vede in Valentino il suo tribuno e questo è molto bello.

Ci saranno ragazzini che ricorderanno questi giorni di passione motociclistica come momenti fondativi della loro adolescenza, bambini che ne conserveranno dolcissime e confuse memorie, padri di famiglia che proveranno un po’ di sollievo guardando il telegiornale, tirando il fiato, grazie al grande campione, dalle frustrazioni lavorative e matrimoniali.

W il circo!

Chi stona fuori dal coro mentre un Paese intero canta l'inno di Mameli lo fa con la stessa logica che spinge la solita noiosissima minoranza, durante i Mondiali di calcio, a tifare squadre esotiche tipo l’Uganda.

Piace, per posa o convenienza, a certi bei tipi, trattare Rossi come fosse un marò, aggiungendo, con un certo superbo compiacimento, le parole panem et circenses, quel tipo di retorica che viene sempre buona per recensire gli spettacoli e i protagonisti degli spettacoli nazionalpopolari che uniscono il Paese, a chi gode nel vederlo diviso.

Se le nostre cariche istituzionali fossero furbe quanto dovrebbero, trasformerebbero il Dr. Rossi nel più giovane (e anticostituzionale) senatore a vita della Repubblica, o qualcosa del genere.

Perché sì, il pane, e soprattutto il circo, ci distraggono dai problemi reali.

Ma, per fortuna, anche in giorni in cui il pane (sotto forma di lavoro e briciole di privilegi) sembra scarseggiare, non di solo pane viviamo.

Vai, Valentino!

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Marco Cubeddu

Nato a Genova nel 1987, vive a Roma, è caporedattore di Nuovi Argomenti e ha pubblicato i romanzi Con una bomba a mano sul cuore (Mondadori 2013) e Pornokiller (Mondadori 2015). Credits foto: Giulia Ferrando

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