Stiamo senza pensieri
Emanuela Scarpa/Ufficio Stampa Sky
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Stiamo senza pensieri

È ricominciata Gomorra (la serie telvisiva). E insieme ai grandi successi, sono ricominciate anche le polemiche sulla spettacolarizzazione del male

È cominciata la seconda stagione di Gomorra, la serie.
Un grande successo.
E si sa, da grandi incassi derivano non solo grandi responsabilità, ma anche grandi polemiche.

Gomorra sì

È la vera novità della serialità televisiva: basta buoni contro cattivi, eroi onesti e probi contro abietti e deliranti arcinemici, bianchi contro neri. Dai Soprano in poi, abbiamo visto rappresentate infinite sfumature di grigio. Basta pensare che so, a Walter White, il protagonista di Breaking Bad, o Frank Underwood, quello di House of cards.

In Italia si tentennava, poi è arrivato Romanzo Criminale (la serie, non a caso sempre di Sollima), ed eccoci, timidamente, affacciarci a un gusto estetico internazionale.

Gomorra ci ha fatto fare passi in avanti impensabili.

Tralasciando gli aspetti artistici, su cui molto, per una volta, si potrebbe dire anche di un prodotto italiano, ecco i personaggi: non ce n’è uno, dico uno che veicoli dei valori positivi. Ciro, che è quello con cui dovremmo immedesimarci di più, uccide e dà fuoco a ragazzine quindicenni. È una spia, un traditore, un arrivista. Genny? Genny… Genny è Genny. E il boss e la moglie del boss, e l’altro boss, e perfino il ragazzino, tanto carino, piccino picciò, è comunque uno che bang, non esita a far fuori uno sconosciuto.
A tutti coloro che scrivono, dirigono, interpretano, organizzano, finanziano, trasmettono, etc, etc, Gomorra, non possiamo far altro che dire grazie. Grazie. Grazie.

Italiani brava gente un par de ciufoli: non se ne poteva più di medici in famiglia, don Mattei e posti al sole.

Gomorra no

Rovina, si dice, l’immagine di Napoli. Allontana, si sostiene, turisti e investitori.
E poi celebra, certo, invece di stigmatizzare, boss e guaglioni, nella costruzione della loro identità professionale e personale.

Così dicono, i detrattori, gli indignati, quelli che dicono che Saviano metteva in guardia sul fatto che i criminali imitassero le loro rappresentazioni, cioè, tipo, sparavano come in Scarface, e adesso invece offre nuovi modelli da imitare proprio a quei criminali che imitavano le rappresentazioni di se stessi.

Quelli che dicono che nella Napoli delle baby gang, delle raffiche di mitra contro le caserme, delle esecuzioni pubbliche (proprio recentemente, una donna che si fingeva un uomo e un ragazzo che aspettava la fidanzata sono stati freddati, se non proprio senza motivo, decisamente senza pietà), dell’ostentazione di rivoltelle sui diari di Facebook, nessuno può deresposabilizzarsi, neanche se è un artista.

Quelli che dicono che in Gomorra (la serie) lo Stato non è mai rappresentato neanche come antagonista (come poteva essere Scialoia in Romanzo Criminale, con cui nessuno empatizzava perché era un personaggio insopportabile, ma che almeno c’era) e che volente o nolente, questa fiction, esalta lo stile mafioso, quasi fosse uno spot che fa arruolare i guaglioni borderline.

Opinionisti dei cachi

È nato prima l’uovo o la gallina? Sembra che non se ne esca.

Che poi diventa: è l’arte che imita la vita che imita l’arte? O è la vita che imita l’arte, che imita la vita, che imita l’arte, che imita...

E come vogliamo quindi giudicare Saviano? Incoerente? Furbastro? Martire? Incompreso? Reo?
E come vogliamo rappresentare ad esempio i The Jackal, che fanno la parodia di Gomorra che rappresenta i camorristi che imitano le rappresentazioni dei camorristi che rappresentano i camorristi?

Davvero, tutti colpevoli, responsabili, istigatori?

Per quanto mi riguarda, empatizzo, da sempre, con tutti i personaggi negativi di serie tv, libri, cartoni animati, etc, etc.

Con boss malavitosi in primis, ma non solo, anche con affaristi senza scrupoli, sadici serial killeri, manipolatori, santoni, imperatori (adoravo un personaggio di Ken il Guerriero che si faceva costruire un mausoleo da bambini innocenti che faceva frustare in continuazione dal suo esercito di palestratissimi punk).

Eppure, non sono affiliato a nessuna organizzazione criminale, non speculo su Stati sovrani in procinto di fallire (anche se la ragione è che non ho abbastanza soldi), non sevizio, non stupro, non crocifiggo e non faccio frustare bambini perchè costruiscano un monumento funebre alla mia memoria (per ora).

Sarà che ho avuto altre possibilità dalla vita, tra le quali quelle di essere circondato da persone per bene, come i miei genitori, i loro amici, i parenti, le maestre, i compagni di scuola... che mi hanno spiegato, senza ammorbarmi, che c’è differenza tra la finzione e la realtà e che ci sono cose che si fanno e cose che non si fanno, che ci sono conseguenze alle proprie azioni?

Non sarebbe meglio se tutti quelli che sono così drammaticamente preoccupati per le sorti del paese, invece di prendersela con chi racconta storie (e si arricchisce, con pieno diritto di incoerenza, nel farlo), attraverso peana moralisti (retribuiti), andassero nei quartieri più disagiati, e si occupassero in prima persona di insegnare ai bambini figli di quelle famiglie disagiate che dicono essere vittime dell'istigazione delle serie televisive che esistono anche persone per bene, che ci sono cose che si fanno e cose che non si fanno, che ci sono conseguenze alle proprie azioni, che c’è differenza tra la finzione e la realtà?

Sono certo che se i paladini dell'infanzia protetta la proteggessero davvero, invece di scaricare la colpa dell'inefficienza dello Stato sui narratori che fanno egregiamente il loro mestiere, potremmo stare tutti "senza pensieri".

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Marco Cubeddu

Nato a Genova nel 1987, vive a Roma, è caporedattore di Nuovi Argomenti e ha pubblicato i romanzi Con una bomba a mano sul cuore (Mondadori 2013) e Pornokiller (Mondadori 2015). Credits foto: Giulia Ferrando

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