L'invasione dei nazivegani
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L'invasione dei nazivegani

Cracco e Cruciani "vittime" dei nazivegani. Se si fa strada l'antispecismo (nessuna differenza tra gli esseri umani e le altre specie), per la nostra specie sarà un macello

I recenti casi di Carlo Cracco (denunciato e anche aggredito per aver cucinato un piccione a Masterchef), Giuseppe Cruciani (inseguito da una biondina con una felpa nera da black bloc dentro la sede de Il Sole 24 ore) e Luca Bizzarri (rimossa da Facebook una sua foto con un salame accusata di violare gli standard della comunità) riaccendono l’attenzione su un’emergenza umanitaria di stringente e drammatica attualità: l’invasione dei nazivegani.

Il populismo emozionale vegano

Il dibattito viene riportato dai media con leggerezza e ironia, la cronaca delle baruffe rubricate alla voce “curiosità”. Eppure, la questione è seria, e rischia di sfuggirci di mano.

Il sensazionalismo delle campagne vegane, il populismo emozionale con cui viene dato risalto agli “scandali” dei macelli, dove si “scopre”, grazie a video girati di nascosto coi telefonini, la crudeltà con cui vengono trattati gli animali prima e durante la macellazione (chi poteva aspettarsi che non fossero coccolati durante lo sgozzamento!), fa sempre più presa su un’opinione pubblica dopata da anni di emotainment, in cui ogni banalità è trasformata in un’iperbolica presa allo stomaco macina ascolti, per cui l'uccisione di un agnellino è paragonabile a quella di un infante, e i mattatoi ai campi ci concentramento, perché tutto fa brodo (cioè audience).

Come resistere all’arroganza pseudoscientifica con cui si impone la superiorità morale di chi sceglie di non mangiare carne (e uova, e formaggi), come evitare il moltiplicarsi di bambini denutriti per le dissennate scelte dei genitori, allarmismi sanitari frutto di dolosi fraintendimenti, formazioni di cellule eversive disposte a tutto pur di impedire al prossimo di mangiare come hanno mangiato i suoi genitori, i suoi nonni, e tutte le generazioni che si sono avvicendate dalla notte dei tempi rendendo la terra più popolosa e prospera che mai?

Il "fordismo" non è sadismo

Ora, chiunque, o praticamente chiunque, non prova alcun piacere nel veder macellare un animale. Mostrare le carcasse industrialmente ammassate in grandi quantità, mostrare i teneri cuccioli, vivi e innocenti, in procinto di diventare pietanze, mostrare il sangue, lo spreco, l’indifferenza che regnano nei macelli, non può che impressionare.

Da carnivoro convinto, se mai entrassi in un macello, immagino, ne resterei sconvolto. E se dovessi uccidere in prima persona, che so, un agnellino, proverei quasi sicuramente un profondo turbamento.

Ma sarebbe solo ipocrisia, sarebbe solo una questione d’abitudine, perché se fosse il mio lavoro, il modo con cui mantengo la mia famiglia, sono certo che proverei quel naturale distacco che immagino provino anche i chirurghi e i becchini nell’adempimento dello loro funzioni, e mi comporterei esattamente come si comportano gli addetti alla macellazione che sugli schermi dei nostri computer, nei video virali che circolano sui social network sembrano dei sadici aguzzini, quando non sono che normalissimi e svogliati manovali. Si chiama fordismo, non sadismo.

L'antispecismo, malattia senile dell'hippysmo

Non ci sarebbe niente di male nel preferire una dieta a base vegetale.

Forse fa perfino meglio, chissà, anche se la scienza è divisa e la verità in tasca non l'ha nessuno.

Il problema non è tanto il teppistico comportamento delle squadracce nazivegane (minoranza della minoranza vegana della minoranza vegetariana rispetto alla maggioranza onnivora dell'umanità), quanto l’assuefazione alla loro isteria, alla fraudolenta e narcisistica pretesa di imporre il loro pretestuoso modo di raccontare la realtà a tutti quanti, lo strisciante senso di colpa per il fatto di essere esseri umani privilegiati che i più privilegiati degli esseri umani cercano di instillare nel prossimo.

Si tratta di una piccola, ma crescente parte di umanità che fa della sua libertà una prigione per gli altri, della qualità della sua vita personale una religione di egoismo, che fa pochissimi figli, che fa lavori “creativi”, che si sente troppo evoluta per credere in Dio ma non può introdurre nel proprio corpo (un tempio!) niente che non sia bio.

In fondo, alla base delle sqadracce di nazivegani, c’è la "filosofia" dell’antispecismo, la convinzione che, (da Wikipedia) “le capacità di sentire di provare sensazioni come piacere e dolore), di interagire con l'esterno, di manifestare una volontà, di intrattenere rapporti sociali, non siano prerogative della specie umana/ l'attribuzione di tali capacità agli animali di specie non umana comporti un cambiamento essenziale del loro status etico, da equiparare a quello normalmente riconosciuto agli animali di specie umana”.

Se quest’ideologia stomachevole si rafforza, attecchisce, si fa senso comune (ogni volta che qualcuno pronuncia la frase “gli animali sono meglio degli uomini” l'Apocalisse si fa più vicina), finiremo a negare la natura di cui siamo parte, e invece di mettere al centro i molti problemi umani - quelli che affliggono i milioni di cuccioli della nostra specie e minacciano la nostra stessa sopravvivenza -, finiremo prigionieri di una visione artificiale della vita, e tentando di fare un passo indietro nell'evoluzione, faremo un passo in avanti verso l'estinzione.

Se non nasceranno brigate di partigiani onnivori, capaci di difendere il buon senso e la moderazione dal fanatismo, e ci lasceremo intimidire dalle squadracce di nazivegani, per l'umanità sarà un macello.

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Marco Cubeddu

Nato a Genova nel 1987, vive a Roma, è caporedattore di Nuovi Argomenti e ha pubblicato i romanzi Con una bomba a mano sul cuore (Mondadori 2013) e Pornokiller (Mondadori 2015). Credits foto: Giulia Ferrando

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