Donne "lunatiche", più dolori che gioie
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Donne "lunatiche", più dolori che gioie

Un libro sulla complessità del genere femminile mette al centro l'emotività, preziosissima risorsa

“Donne e motori, gioie e dolori”, recita un vecchio adagio che sottolinea la duplice natura delle due “cose” (bastino le virgolette a salvarmi dalle accuse di sessismo) più care agli uomini.

È uscito un libro che si sofferma sulla peculiare capacità femminile di provare infinite emozioni diverse (quasi) contemporaneamente: euforia, tristezza, felicità, ansia, depressione, rabbia, fiducia, etc, etc.
Julie Holland, l’autrice, psichiatra newyorkese, l’ha intitolato Moody Bitches: The Truth About the Drugs You’re Taking, the Sleep You’re Missing, the Sex You’re Not Having, and What’s Really Making You Crazy (Stronze lunatiche: tutta la verità sui farmaci che prendete, sul sonno che state perdendo, sul sesso che non praticate e su ciò che vi fa davvero diventare pazze).

Sulla scientificità del libro meglio non addentrarsi (sulla scientificità dei libri scientifici in generale, specie in materia comportamentale, è saggio dubitare, visto che si trovano pubblicazioni in grado di sostenere tutto e il contrario di tutto).

Ma il tema, a partire dal titolo, offre diversi spunti di riflessione: stronze lunatiche.

Che nel testo si voglia mettere al centro l’empatia è ininfluente. Qualsiasi uomo, leggendo le parole "stronze lunatiche" si troverà ad annuire, piegando gravemente il capo, o scuotendo la testa, in un mix di rassegnazione e disapprovazione.

Ma è davvero un bene?

Sarà anche una risorsa preziosa, l’emotività, e sarà anche doveroso non rendere l’umoralità il pretesto per impasticcarsi. Ma, da uomini, non possiamo che soffermarci sugli aspetti più negativi della faccenda, elencando mentalmente tutte le volte che ci siamo trovati davanti a comportamenti a noi incomprensibili, costretti a consolare/sostenere donne che non si capivano da sole.

È vero che le cose più belle sono spesso anche quelle più complicate. Ma senza esagerare. Perché anche la funzionalità è un valore, come lo sono l’affidabilità e la solidità, nelle macchine come nelle persone con cui condividere pezzi di vita.

In un tempo in cui le relazioni non durano perché ogni velleità momentanea diventa il centro di tutto, senza che alcun disegno generale, percorso, costruzione, riesca a essere abbastanza forte da ridimensionare il nostro caos interiore, forse esaltare gli elementi di squilibrio è un esercizio dannoso.

Nel libro è messa al centro la questione degli psicofarmaci. Un uso più massiccio per le donne che non per gli uomini, di cui si ricostruiscono le ragioni a partire da discusse teorie tra configurazioni cerebrali differenti e dosaggi ormonali, e reprimenda sociali ai danni delle donne e della loro emotività.

Nonne senza psicofarmaci

Eppure, più che una questione di genere, sembra una questione sociale. Le nostre nonne mettevano l’emotività in secondo piano rispetto alle responsabilità quotidiane, senza alcun bisogno di psicofarmaci, conosciuti solo come barbari rimedi per sventurate vittime di un sistema medico preistorico.

Non che si debba guardare al passato con eccessiva nostalgia.

Ma neanche esaltare un futuro di rivolgimenti emotivi.

Se è vero (come è vero) che gli uomini hanno giustamente perso il loro ruolo dominante, e si trovano spaesati e in cerca di una nuova collocazione più paritaria, è vero anche che le donne, incentivate a coltivare l’irrazionalità come vanto, finiranno spesso a diventare più dolori che gioie di se stesse.

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Marco Cubeddu

Nato a Genova nel 1987, vive a Roma, è caporedattore di Nuovi Argomenti e ha pubblicato i romanzi Con una bomba a mano sul cuore (Mondadori 2013) e Pornokiller (Mondadori 2015). Credits foto: Giulia Ferrando

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