Diritto di topless
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Diritto di topless

In America, la battaglia è fuori tempo massimo. Lo scandalo non è la censura delle nudità, ma l'esaltazione dell'esibizionismo

“Tutti i capezzoli sono uguali”!

Questo grande grido di protesta 2.0 (dal sapore vintage, per non dire paludato) è stato intonato domenica scorsa per celebrare (sigh) il GoTopless Day, giornata in cui donne (e uomini), appassionati sostenitori del denudamento uguale per tutti, hanno sfilato in diverse città per rendere il topless legale in tutte le spiagge d’America.

La grande mela bacata

Per la prima volta la parata si è tenuta anche per le strade di Manhattan, nonostante l’irritazione del sindaco De Blasio provocata da un gruppo di ragazze che da settimane stazionano a Times Square praticamente nude, tipo Femen, lasciandosi fotografare dai turisti in cambio di una mancia.
Il fulcro della rivendicazione è che le donne dovrebbero poter andare in giro senza maglietta come gli uomini, anche in città, senza che il loro corpo diventi oggetto di “sessualizzazione” (?!?).

Queste baracconate dimostrano come l’asticella delle battaglie rivendicative si sia abbassata progressivamente nei lustri fino ad arrivare al grado zero di ogni battaglia per il progresso sociale: il “posso fare quello che voglio gne gne gne” come manifesto di lotta di gruppi sociali le cui frustrazioni non sono legate e problemi materiali e pressanti per ampli strati della popolazione (come il diritto al posto di lavoro, a un equo salario, alla possibilità di dare ai propri figli aspettative di vita migliori) ma a velleitari isterismi tipici delle fasce più putride e parassitarie delle metropoli occidentali.

Addavenì il Califfo

È quindi comprensibile (per quanto non auspicabile) che di fronte a certi spettacoli degradanti si radicalizzino sentimenti di indignazione e sconforto, e che istanze religiose e culturali dai tratti antiumani e irragionevoli finiscano per diventare appetibili per diversi giovani e meno giovani, persone che faticano a riconoscersi in un sistema sociale in cui l’opinione pubblica (mediata da ideologi con poco sale in zucca e molta fame di fama) mette al centro rivendicazioni che nulla hanno a che fare con il diritto alla vita e all’innalzamento della sua qualità per tutti, ma solo con l’esibizionismo più vieto che fa della stravaganza un dovere morale e tratta chi gradirebbe mezze misure in materia di differenze tra generi sessuali come “fascisti”, “bigotti”, “reazionari”.

Uomini e donne sono uguali?

Per quanto questi siano inevitabilmente (e anche fruttuosamente) anni di transizione, in cui le molte disparità tra uomini e donne si stanno (fortunatamente) attenuando in vista di una definitiva estinzione, non ha nessun senso considerare uomini e donne “uguali”. Gli uomini e le donne sono irrimediabilmente diversi, se non altro anatomicamente. E che questo porti a differenze (non disparità!) sociali è cosa non solo pacifica, ma anche auspicabile.
Non sono solo uomini primitivi a desiderare “una donna con la gonna”. Ed è pieno il mondo di donne costruttivamente emancipate che vogliono essere (anche) “donne con la gonna” e non sentono alcun bisogno di questuare per poter andare in giro a dar scandalo per dimostrare il proprio valore.

Esiste una maggioranza silenziosa e produttiva di esseri umani che trova nella ragionevolezza e nella moderazione i propri ideali etici.

Le bande colorate di buontemponi e buontempone “con le tette al vento” (come cantava Guccini nella sua Eskimo) sono fuori tempo massimo e producono l’effetto opposto rispetto agli obiettivi dichiarati: portano a idealizzare Stati e ordinamenti polizieschi che insieme ai tanti orrori millantano di essere i soli ad anteporre il diritto al decoro al diritto all’esibizionismo.

Si potrebbe starne a discutere per anni. Con argomentazioni più o meno (apparentemente) ragionevoli in un senso o in un altro sul perché un uomo senza maglietta è una cosa e una donna senza maglietta (e senza reggiseno) un’altra. Come sul fatto che un conto è la spiaggia, un altro conto la camera da letto, un altro ancora i centri cittadini (e ancora: le chiese, le moschee, gli asili, i circoli per scambisti…).
Ma, al netto di ogni forzoso e interessato radicalismo, non serve alcuna speculazione intellettuale per capire che no, non tutti i capezzoli sono uguali, alcuni sono più uguali degli altri (e in ogni caso tutti i capezzoli dovrebbero essere ben coperti in città affidando il divieto a una legge unisex).

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Marco Cubeddu

Nato a Genova nel 1987, vive a Roma, è caporedattore di Nuovi Argomenti e ha pubblicato i romanzi Con una bomba a mano sul cuore (Mondadori 2013) e Pornokiller (Mondadori 2015). Credits foto: Giulia Ferrando

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