Caro McDonald's, ti scrivo
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Caro McDonald's, ti scrivo

A Hong Kong ha aperto un McDonald's lussuosamente arredato che serve insalate fresche, quinoa, ananas. Una lettera aperta da un (ex?) innamorato dei suoi fast food.

Caro McDonald's,

ti scrivo come un innamorato tradito scriverebbe all’amore della sua vita: c’è risentimento, rabbia, desiderio di rivalsa. Ma, insieme, scavando al fondo del rancore, anche una costellazione di ricordi.

Cantava De André: "l’amore che strappa i capelli è perduto ormai, non resta che qualche svogliata carezza, e un po’ di tenerezza…".

Così mi sentivo io, anni fa, quando l’idillio del nostro incontro, fatto prima di passione, preludio di un'infuocata dipendenza, era ormai finito, ma ancora non potevo separarmi da te.

Ricordo con dolore la sera in cui, da Burger King, in un centro commerciale a Torino, prima di andare al cinema, presi un panino di cui non ricordo il nome. La pubblicità sosteneva rappresentasse il gusto del Texas che incontrava il Messico, sintetizzando il tutto con un Yippie I ohhh ohh ohh (che io completavo, mentalmente, immaginando la voce di Johnny Cash, con Yippie I aye ye ye, Ghost riders in the sky.

Pensai, “va bene, è meraviglioso, ma il mio amato McDonald's…” e poi, come un’epifania, passarono davanti ai miei occhi le tue odiose carotine baby, le tue fettine di ananas, che avevi appena cominciato a servire nei tuoi ristoranti, i restyling che puntavano a sedurre nuovi clienti radical chic, abbandonando il rassicurante e spartano stile che ti contraddistingueva, ed eccomi, definitivamente, temevo, disamorato.

Il primo tradimento

Così Burger King divenne il mio amante regolare, più o meno ufficiale, perfino in grado di farmi provare qualche tenerezza, oltre alle pulsioni animali premessa di ogni sentimento, specie ripensando a un’altra sua pubblicità, che vidi in Spagna, su un poster, in cui un sugoso triplo whopper sovrastava la scritta “terrible ser vegetariano, verdad?”.

Eppure, inconsciamente, nonostante tutti gli anni passati da quando mi alimentavo, ogni giorno, per mesi, in barba alle scemenze alla Michael Moore, nel McDonald's di Piazza Castello a Torino, dove abitavo, sfamandomi a ogni pasto con una decina dei tuoi economici cheesburger, ho sempre pensato che un giorno, forse, l’amore sarebbe tornato.

In fondo, come te nessuno mai e, per te - vanto che ancora mi commuove nel rileggere i vecchi CV - ho anche lavorato, per un breve ma intenso periodo - indimenticabile, felice, assoluto - dentro le tue cucine, preparando le tue prelibatezze potendo contemplare da vicino l’igienica efficienza sui cui si regge il sublime gusto dei tuoi menù.

E ora?

Ora leggo la ferale notizia:

“A Hong Kong ha aperto la filiale 3.0 di McDonald's. Sul menù: insalate fresche, quinoa, ananas e brioche appena sfornate”. Gli interni con “finiture di pregio, illuminazione che si regola automaticamente in base alla luce esterna e cucina a vista”.

È troppo, davvero.

Che ti è successo, ti sei definitivamente bevuto il cervello, amore mio?

Nel segno dei tempi

Io capisco, sul serio, che il mercato oggi impone a chi non vuole essere sopravanzato da nuove realtà una scelta di campo più politicamente corretta. Che l’ecologismo, malattia infantile dell’occidentalismo, sta avendo la meglio, che le famiglie, anche quelle poche “tradizionali” che ancora si tengono insieme, sono scosse da forze centrifughe di arcobalenizzazioni forzate fatte di vegetarianesimi e salutismi, e sono corrotte da figli indottrinati dal benpensantismo scolastico, mogli frigide o sgualdrine ossessionate da diete ipocaloriche, mariti castrati soprattutto da se stessi, ormai incapaci di pensarsi a cavallo nella prateria, fumando sigarette proteggendosi dal sole sotto cappelli da cowboy, e che ormai fanno la pipì da seduti, per non sporcare la tavoletta, e si scoprono sensibili e fragili piangendo tra le braccia di costosi analisti junghiani.

Un buon hamburger, a un prezzo economico, sarebbe il farmaco di cui avremmo bisogno, il saporito viatico per un ritorno ai valori di un sogno americano che ha fatto grande l’America e il resto del mondo che guardava a lei come a una terra di conquista.

Poi, anche in America sono venuti gli hippy, le estati dell’amore libero (da cosa? Da chi?) e tutte le manie libertarie da cui ci siamo fatti imprigionare.

Ma tu, mio adorato McDonald's, resistevi, nella testa dei no-global eri il capofila dell’"asse del male", la multinazionale delle multinazionali da boicottare, il simbolo di tutto ciò che odiavano.

Anche per questo ti amavo.

Perché nei tuoi panini, nelle tue cocacole, nella tua fordizzazione della produzione del cibo, io trovavo la libertà di sentirmi americano anche se ero nato in Italia, emozionandomi al pensiero di “whisky soda e rock and roll”.

Adesso, davvero, sembra tutto finito.

La quinoa (qualunque cosa sia) è la classica goccia che fa traboccare il vaso.

I miei sogni, infranti.

La roccaforte da te presidiata contro il pensiero unico del radicalchicchismo, abbandonata.

L’avanzata dei barbari del politicamente corretto, inarrestabile.

Quanto ti ho amato,McDonald's, non lo sai.

E ora vorrei semplicemente odiarti.

Ma, come cantavano gli 883, gli amori, come le notti, "non finiscono all’alba nella via”. Si portano a casa, se ne fa melodia. Ed è così che ancora mi ritrovo a scriverti “chilometri di lettere”, rendendomi conto di amarti ancora, purtropo senza più sapere, come mai.

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