Born in the Wild: esibizionismo primordiale
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Born in the Wild: esibizionismo primordiale

Altro giro, altro regalo. Nasce Born in the Wild, docu-reality di Lifetime con protagoniste donne al termine della gravidanza che daranno alla luce i loro pargoli in mezzo alla natura, lontano da ospedali, medici e antidolorifici.

Lifetime definisce Born in the Wild un “viaggio di genitori che hanno deciso di dare alla luce i propri figli in territori selvaggi”, un’idea che si inserisce nella filiera di reality a tema, in cui cittadini annoiati possono guardare le gesta di cavie esibizioniste in mezzo alla natura selvaggia, comodamente seduti sul divano di casa.

Il parto “naturale” sembra l’ultima frontiera di una mania da culto del passato che affascina gli ingenui romantici.

Che importa se il compianto parto naturale significava percentuali altissime di mortalità infantile?

Meglio combattere i progressi medici e giocare a “si stava meglio quando si stava peggio”.

La natura, come astrazione, come forza benigna e pura, contro la corruzione dei tempi moderni.

Come si possa voler spettacolarizzare la nascita del proprio figlio, a cuor leggero, mi risulta personalmente difficile da capire. Ma la moralità è una questione secondaria.

Si tratta di business e di spettacolo che ha come protagonisti i soliti fenomeni da baraccone che, non avendo alcun talento, sono disposti a vendere il loro esibizionismo a reti televisive che fanno bene il proprio lavoro e danno ai propri spettatori quello che vogliono.

L’unica cosa, per cortesia, è che evitassero di filosofeggiarci sopra.

Le medicine, le procedure, la scienza in genere, sono cose assolutamente naturali. L’uomo è natura, e lo è al massimo livello proprio perché è la specie meglio in grado di manipolarla a proprio vantaggio e di adattarsi. Questo provoca inevitabili contraddizioni, in una società in cui il denaro e il profitto dominano sulle esigenze umane. Ma non ne fa aspetti negativi in sé e per sé. Non si può impedire ai castori di costruire dighe. Noi uomini costruiamo, tra le altre cose, ospedali. E questo ci rende immensamente più fichi dei castori, un evviva per noi!

Solo che siamo talmente perversi che costruiamo anche show televisivi idioti.

Se le donne che partoriscono figli in condizioni arretrate potessero usufruire dei comfort delle realtà più moderne, lo farebbero volentieri. I miti romantici, contro medicine e tecnica sono il frutto del privilegio e della noia, di manie da fanatici prive di senso, superstiziose sciocchezze nella zucca vuota di burattini nelle mani di chi di chi, sfruttandoli, trae giganteschi profitti.

Da qui, il furbesco concept del programma: "Cosa succede quando l'esperienza più folle di una donna diventa selvaggia e i futuri genitori decidono di fare un parto senza assistenza all'aria aperta?”
Esperienza folle? Come si fa a definire “folle” la cosa più naturale della vita di ogni essere vivente, cioè la riproduzione?

A nulla servono le sagge obiezioni di medici come Ron Jaekle, specialista in medicina fetale del Medical Centre dell'Università di Cincinnati: "Non c'è una singola pagina della letteratura che abbiamo letto che non parlasse di madri che sono morte dando alla luce il loro figlio. Nel 1900, ogni mille bambini c'era una madre che moriva, oggi il numero ogni mille bambini è 0.1".

La cosa davvero divertente di questi pseudo cialtroni new age è che nella loro testa c’è il tentativo di rendere naturale, artificializzandolo, qualcosa che naturale già è.

Chissà non gli venga in mente di riprodurre altre tecniche mediche dell’antichità, più “naturali”: “Amputazioni da campo - rifiuta gli antidolorifici, goditi la sofferenza”, oppure, che so, “Morire a 20 anni - contro l’allungamento dell’età media dato da una corretta alimentazione e da cure mediche adeguate”, o anche, “Lotta ai tutori e agli apparecchi per i denti - riprendiamoci il diritto a difetti di postura e a dentature storte”.

Mi viene in mente una pubblicità della MasterCard di qualche anno fa. Obiettivi della vita: a 30 anni comprare un abito, 300 euro, con MasterCard. A 40 un abito su misura, 1000 euro, con MasterCard. A 50 gettare il vestito (scena di un uomo nudo che corre nella jungla e si lancia da una scogliera), non ha prezzo. Peccato che il riscoperto hippy, per arrivare alla scogliera, avrà dovuto prendere un volo, magari con MasterCard.

Per me, su queste scempiaggini naif, ha già detto tutto Werner Herzog con il suo documentario Grizzly Man. Le riprese raccontano la storia di un grande amante degli orsi che decise di vivere con loro, per essere uguale a loro. Così dolci, così belli, così pacifici. Al punto che, infatti, a un certo punto se lo pappano. Tra le chiose di Herzog, che con classe ed eleganza realizza dell’esperienza di quel cretino un capolavoro cinematografico, “Io credo che il comune denominatore dell’universo non sia l’armonia, ma il caos, l’ostilità e la violenza”.

A questo serve la società, con i suoi progressi, a dare un ordine al caos, ad avvantaggiarci nella sfida per la vita.

La natura, dei naturisti se ne frega.

Spero vada tutto bene durante questi parti. E che nonostante la loro volgare dabbenaggine, queste madri stiano bene e in salute e possano accudire i loro bambini che cresceranno sani e forti nonostante siano stati messi al mondo da cretine irresponsabili.
Ma poche cose mi darebbero più gioia di un simpatico orso che, scorrazzando vicino al set delle puerpere, desse qualche morsicata ai biechi produttori di Born in the wild. Che, tra l’altro, potrebbe essere il concept di un nuovo programma di Lifetime.

Sarei felice di diventarne l’autore: “Produttori impavidi, in lotta per la vita con l’orso Yoghi”. Un successo assicurato.

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Marco Cubeddu

Nato a Genova nel 1987, vive a Roma, è caporedattore di Nuovi Argomenti e ha pubblicato i romanzi Con una bomba a mano sul cuore (Mondadori 2013) e Pornokiller (Mondadori 2015). Credits foto: Giulia Ferrando

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