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Tecnologia

Facebook chatbot, vi spiego come funzionano

Perché sono utili e in che modo ci cambieranno la vita. Lo racconta a Panorama.it Stan Chudnovsky, responsabile del messaging

da San Francisco

Il nostro giornale preferito ci scrive un messaggio con gli aggiornamenti delle notizie di nostro interesse, mentre la panetteria sotto casa ci offre uno sconto sul prossimo acquisto. Possiamo domandare le previsioni del tempo per il weekend per una qualsiasi località o chiedere un preventivo per noleggiare un’automobile. Ordinare un libro oppure cibo a domicilio.

Il tutto senza mai uscire da Messenger, il servizio targato Facebook che ha raggiunto quota 900 milioni di utenti mensili. Senza alzare il telefono o pronunciare una singola parola, scrivere una riga di una mail o compilare un formulario su un sito. Basta solo digitare, con un linguaggio colloquiale, come se stessimo parlando con un amico che ci aggiorna sui suoi patemi d’amore o sulla festa della sera prima. Solo che a risponderci non è un essere umano, ma un computer.

È la forza e la differenza dei chatbot a San Francisco durante F8, la conferenza dedicata agli sviluppatori del social network per eccellenza. Robot, software programati per interpretare le nostre domande o anticipare le nostre esigenze. «Il beneficio è doppio. Da una parte si ha un feedback in tempo reale alle proprie richieste, senza le attese di altri canali. In più, diminuisce la possibilità di perdere un’offerta conveniente o qualcosa di rilevante, di interessante» ragiona con Panorama.it, in esclusiva per l’Italia, Stan Chudnovsky, responsabile del messaging di Facebook.

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Facciamo un esempio. Supponiamo di voler comprare un paio di scarpe. Scriviamo in chat al negozio on line che le vende, indicando lo stile che ci piace, il numero di piede, quanto vorremmo spendere. Otteniamo una selezione di proposte, scorriamo le fotografie, decidiamo il paio che ci convince di più e il gioco è fatto. «Oppure» aggiunge Chudnovsky «possiamo contattare la nostra compagnia di assicurazioni mentre siamo in aeroporto o già a bordo di un aereo, senza dover dettare le nostre credenziali a un operatore, con tutti gli altri che ci ascoltano. Per rinnovare una polizza o sapere se abbiamo diritto a qualche sconto». O chiacchierare con un servizio meteo, come nella schermata sopra.

La logica, però, non è un bombardamento d’informazioni non volute. Le aziende non verranno a cercarci su Messenger mentre organizziamo una partita di calcetto o mandiamo smancerie a spasimanti clandestini. «Tutto nasce dalle singole persone, che decidono a un certo punto di entrare in contatto con le imprese, per esempio tramite un pulsante ad hoc sulle loro pagine. Hanno la libertà di non riceverne più i messaggi con un semplice tocco, se sono invasivi oppure non interessanti. Noi stessi, se ci accorgiamo che troppi utenti stanno rifiutando quelle comunicazioni, interverremo perché consapevoli che qualcosa non va nell’utilizzo di questo meccanismo».

Messenger-Stan-ChudnovskyStan Chudnovsky, head of product for messaging di FacebookFacebook

Un canale di comunicazione aperto a tutti, senza distinzioni di capacità d’investimento: grandi colossi come piccole realtà di quartiere. Tanto chi può permettersi di ricorrere a sofisticati strumenti di intelligenza artificiale, che imparano dall’esperienza a conversare meglio in automatico, quanto il negozietto che può predisporre un risponditore automatico basico e intervenire con un operatore umano appena ce n’è bisogno.

«Da una parte si ha una risposta in tempo reale alle proprie richieste, senza le attese di altri canali. In più, diminuisce la possibilità di perdere un’offerta conveniente o qualcosa di rilevante, di interessante»

Entrambi, è il sottinteso di Facebook, comprenderanno non solo la versatilità ma soprattutto il senso di tale strumento: «Per essere presente nella vita dei consumatori, che passa sempre più dagli smartphone, le aziende sono chiamate a sviluppare una app per iPhone e un’altra per Android, a metterla sugli app store e a convincere gli utenti a scaricarla. Non solo, chiedere loro di abilitare le notifiche push, circostanza che si verifica sempre meno. Insomma, si spende moltissimo per servizi che in pochi davvero usano. Noi abbiamo pensato che questi bot siano la soluzione al problema per arrivare a un pubblico potenziale di 900 milioni di persone che sono su Messenger».

Non WhatsApp, nonostante abbia un numero di utenti ben superiore, «perché Messenger è più consolidato in Paesi sviluppati come Stati Uniti, Francia, Inghilterra, dove un esperimento del genere ha maggiore senso». Dove, leggendo tra le righe, risultano più radicati i servizi di e-commerce, che però sono soltanto una delle tante facce dei chatbot. Probabilmente la più profittevole per la società di Menlo Park, ma una tessera di una prospettiva varia e altrettanto vasta.

«I chatbot hanno grande peso nella distribuzione delle notizie» commenta Chudnovsky «fornendo ai mezzi di comunicazione un modo in più per raggiungere i loro lettori. Per esempio, posso chiedere di essere aggiornato soltanto sul tema dell’immigrazione in Italia».

In generale, sono uno sforzo di ridurre la complessità e la sovrabbondanza dei contenuti da cui siamo bombardati ogni giorno, filtrandoli e chiudendoli in un recinto in cui siamo a nostro agio e che conosciamo a meraviglia. Quanto alle dinamiche, non c’è motivo di ostentare troppa diffidenza. Abbiamo imparato a seppellirci di occhiolini, linguacce e lacrime. Cosa mai sarà scambiare quattro chat con un robot che, bontà sua, si danna per aiutarci e ancora prima capirci.

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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