Gli smartphone fanno venire mal di schiena. Colpa dell'evoluzione
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Tecnologia

Gli smartphone fanno venire mal di schiena. Colpa dell'evoluzione

Non ci siamo evoluti per incurvarci su dispositivi mobili tutto il giorno, la conseguenza è che la maggior parte dei giovani oggi soffre di problemi alla schiena

Volendo raffigurare in modo visivamente efficace l’evoluzione degli ominidi dallo scimpanzè all’Homo Sapiens, è sufficiente mettere in sequenza i profili delle varie specie nella postura da loro utilizzata per la locomozione. Quello che si ottiene è un animale che, man mano che perde peli e i connotati del suo viso si fanno meno pronunciati, acquisisce una postura sempre più eretta, fino ad arrivare alla verticalità quasi pura della nostra specie.

Ecco, negli ultimi anni questa postura, guadagnata dopo millenni e millenni di selezione naturale, è messa a repentaglio da qualcosa di tanto piccolo quanto diffuso: lo smartphone.

A quanto pare, negli ultimi anni, il numero di giovani di età compresa tra i18 e i 24 anni che lamenta dolori alla schiena è aumentato in maniera considerevole, al punto che una recente indagine ha rivelato che negli ultimi 12 mesi l’84% degli appartenenti a questa fascia di età ha dichiarato di aver avuto dolori al collo o alla parte superiore della schiena. Dal momento che in media i giovani passano più tempo (8,83 ore al giorno) incurvati davanti un computer, un tablet o uno smartphone che sdraiati a letto, diversi ricercatori hanno cominciato a studiare la possibilità che queste due tendenze siano in qualche modo correlate.

In uno studio pubblicato in questi giorni, un gruppo di ricercatori ha chiesto a 26 volontari di camminare a un passo normale e con le mani libere, dopodiché li hanno monitorati nell’atto di estrarre uno smartphone, leggere e digitare messaggi. I movimenti registrati dai computer rivelavano che l’atto di digitare messaggi non solo alterava la loro postura, ma li portava anche a camminare in modo diverso. I soggetti intenti a messaggiare facevano molta più fatica a camminare in linea retta ed erano molto più propensi a perdere l’equilibrio. I ricercatori hanno poi calcolato che, camminando con il busto incurvato e la testa protesa in avanti, i soggetti assumevano una postura che andava ad caricare 13,6 chili di peso aggiuntivo sulle vertebre superiori, il che a lungo andare può causare un disallineamento della colonna vertebrale.

Di fronte a dati di questo tipo, c’è chi è subito corso a lanciare l’allarme, improvvisando dubbie premonizioni sulle implicazioni evolutive che queste tendenze potrebbero generare. C’è chi si affretta a delineare un futuro in cui ci aggireremo per le strade ingobbiti sui nostri smartphone, faticando a sollevare gli occhi per guardare il cielo. Ma fosse solo questo. C’è addirittura chi ipotizza che non troppo tardi l’Homo Sapiens si ritroverà con dei tentacolial posto delle dita, che gli consentano di interagire meglio con i propri dispositivi mobile.

Ora, prima di perdersi in simili fantasticherie, questi preconizzatori della domenica dovrebbero studiare un po’ di biologia evolutiva . O se non altro fermarsi un secondo a considerare che l’evoluzione biologica procede a una velocità infinitamente inferiore rispetto a quella tecnologica. Immaginare che, siccome negli ultimi dieci anni abbiamo interagito con la tecnologia utilizzando touchscreen allora l’uomo prima o poi si ritroverà con delle estremità tentacolari è pura idiozia.

Perché un simile cambiamento verifichi e venga selezionato in modo sufficientemente diffuso da renderlo evolutivamente stabile, ci vorrebbero decine, per non dire centinaia di migliaia di anni. Non so voi, ma io fatico a immaginare che di qui a qualche secolo saremo ancora circondati da smartphone e tablet. Già oggi, nel 2014, abbiamo modo di toccare con mano dispositivi che eliminano la necessità di utilizzare dita, basti pensare ai Google Glass.

La cosa più probabile, per quanto abbia senso fare ragionamenti sul futuro evolutivo dell’uomo, è che la nostra specie vada incontro a cambiamenti che interessano più il nostro cervello e la nostra capacità di rapportarci a un mondo sempre più lontano da quello in cui si sono evoluti i nostri antenati, piuttosto che veder spuntare dita tentacolari o altri inutili appendici.

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Fabio Deotto