Samsung Gear VR, la nostra prova in anteprima
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Samsung Gear VR, la nostra prova in anteprima

Ecco come funziona, cosa permette di fare e quali contenuti offre il visore per la realtà virtuale della casa coreana in arrivo tra pochi giorni in Italia

Il divertimento di mirare con lo sguardo, lanciare un anello con un movimento rapido del dito, centrare in pieno un razzo pronto a filare via. La foga (e l’orgoglio, con un filo di rabbia) di scaricare proiettili contro bersagli fissi, sfidando on line un avversario dal nickname antipatico e fin troppo battagliero. La paura improvvisa, infantile e perciò incontrollabile, per uno squalo che nuota troppo vicino o un nemico minaccioso che respira fitto dietro un angolo buio. Fino allo stupore, autentico, per Chris Martin dei Coldplay che canta di un cielo pieno di stelle sotto il tuo naso; per lo skyline di New York con i colori del tramonto e altre viste mozzafiato di panorami in movimento.

Indossare il Samsung Gear VR scatena un temporale di emozioni. Contraddittorie, travolgenti, vivide

Indossare il Gear VR, realizzato da Samsung in collaborazione con Oculus, scatena un temporale di emozioni. Contraddittorie, travolgenti, vivide, che né le parole, né una foto o un video potranno mai restituire in modo autentico. Bisogna indossare il visore per capire davvero di cosa stiamo parlando. Per arrendersi all’evidenza: riconoscere che la realtà virtuale, chiacchiere e numeri a parte, è davvero un’altra cosa. «The next big thing», come urla una formula logora. Più del passaggio dal bianco e nero al colore di cinema e tv, tantissimo più del quasi defunto 3D. Che non è morto, ma è pronto a mutare canale, modalità e sbocco: a essere fagocitato, anzi esaltato al parossismo da questo visore, il primo a sfidare davvero capricci e imprevedibilità del mercato. Il primo, teorie e teoremi a parte, che ci catapulta dentro un mondo parallelo in cui se non tutto almeno tanto è possibile. Ecco come funziona.

Il Gear VR, in arrivo a metà febbraio a 199 euro, 249 se abbinato al Game pad utile soprattutto per i videogame, non basta a se stesso. Com’è noto, non ha display al suo interno come Oculus Rift, Project Morpheus ed epigoni, ma usa quello - per ora l’unico compatibile - del Galaxy Note 4 (sul web si trova intorno a 600 euro). Ha una confezione molto elegante: è racchiuso in una custodia semirigida con cerniera che consente all’occorrenza di portarlo in giro. C’è un manuale d’istruzioni che dalla copertina ammonisce e supplica di essere digerito da cima a fondo e che sì merita un’occhiata per carpire le informazioni essenziali: come registrarsi al servizio tramite la app «Oculus» del telefonino, passaggio imprescindibile perché il sistema funzioni; come montare il doppio supporto per tenerlo ben saldo in testa; come farlo interagire con il telefonino.

Tutto in verità molto intuitivo, a prova di imbranati: sul lato anteriore del visore ecco un connettore microUsb per alimentarlo (sfrutta la batteria del cellulare senza ricorrere a una interna) e, contemporaneamente, agganciarlo in modo saldo grazie anche a una molletta mobile sul lato opposto. Un gioco da ragazzi. Piccola postilla: le istruzioni sconsigliano di usarlo indossando gli occhiali e di ricorrere alle lenti a contatto se non si ha la vista di un’aquila per evitare, citiamo alla lettera, di ferirsi. Chi scrive porta una montatura sul naso e pure abbastanza ingombrante, ma non ha avuto alcun problema. Basta un minimo di attenzione quando s’indossa il dispositivo.

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Una volta collegata una cuffia qualsiasi e chiuso con una sorta di tappo trasparente lo sportellino dove lo smartphone è alloggiato, lo indossiamo e siamo dentro. Tutto inizia con un’introduzione che decanta e svela le potenzialità dell’oggetto. E che a un neofita, uno che di realtà virtuale ha solo sentito parlare, più di un brivido lo regalerà di sicuro. Finita la poesia, è il momento della pratica: del tutorial, in una manciata di passaggi, che mostrano come abbassare o alzare il volume, usare i tasti direzionali e il touchpad sul lato destro per selezionare gli oggetti (o sparare nei giochi); la rotellina per mettere a fuoco le immagini; il tasto per tornare al menu principale, imprescindibile punto di partenza. In quest’area troverete quello che state cercando, la risorsa e la risposta al vostro desiderio principe: un’icona per attivare la fotocamera anteriore del casco, guardare la vostra stanza e farvi un selfie con un pezzo di futuro addosso. Per quanto possiate essere schizzinosi, resistere è difficile.

Il menu principale (foto sotto), nessuno in casa Samsung o Oculus Vr (citofonare Facebook) si offenda, ricorda un po’ Windows. Ci sono delle mattonelline e altre più grandi per selezionare i contenuti già presenti nella libreria o scaricarne di nuovi. Operazione che si può comodamente portare a termine con il visore spento, dal telefonino, per leggere le descrizioni, le recensioni, o vedere qualche schermata dei contenuti in esame. Divisi in tre categorie, oltre a quella «in evidenza» che riassume i principali: «Giochi»; «Applicazioni»; «Esperienze».

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Per i videogame si attinge al già vasto catalogo di Oculus e tra demo e titoli completi si trova veramente tantissimo. Alcuni titoli richiedono il game pad, altri si possono controllare usando il sistema integrato nel Gear Vr. Come il divertente «Dodge This», in cui bisogna abbattere mirando con lo sguardo goffi personaggi che passeggiano su un ponte basculante; classiconi dell’universo mobile come «Temple Run» o delizie come «Rocket Toss»: un luna park ai tempi della realtà virtuale, in cui, come accennavamo all’inizio, bisogna lanciare anelli e centrare razzi sospesi in aria. Non si vincono peluche, ma va bene lo stesso. In tutti i casi, è sufficiente qualche secondo per prendere dimestichezza con le regole. A oggi è tutto basico e alla lunga ripetitivo, ma è palese che il potenziale sia gigantesco. Sviluppatori e software house, scatenatevi pure.

Tra le applicazioni come non segnalare «Oculus 360 Videos», ovvero filmati in cui lo spettatore è al centro e con lo sguardo scruta tutto ciò che gli succede intorno; stesso discorso ma con le immagini in «Oculus 360 Photos»: forse ancora meglio dei video, perché si è sicuri di non perdere nessun dettaglio, nessun particolare; notevole «Oculus Cinema»: no, non siamo ancora ai film in realtà virtuale, sebbene l’ultimo Sundance Festival con il corto Lost abbia svelato che qualcosa si muove, ma è come essere – a scelta – in una gigante sala, in una più piccola o con i sedili incastrati sulla superficie della luna a godersi su uno schermo enorme i titoli dei film in uscita. Poco chiaro? Avrete davanti a voi quello che vedete quando siete seduti in una fila centrale di un qualunque multisala.

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La cosa migliore, però, sono le esperienze. Più dei videogiochi. Più, forse, dei video immersivi. La prova che questa tecnologia può trionfare scolpendo nuove regole e dinamiche del concetto di intrattenimento. Ecco «Zarkana» del «Cirque du Soleil»: senza spendere quasi cento euro per un biglietto siamo addirittura oltre la poltronissima, ai bordi del palco. Alziamo gli occhi per ammirare le evoluzioni degli acrobati, ci giriamo a destra e a sinistra ed ecco che un gruppo di clown ci saluta, ci sorride, ci invita a non distrarci. Ecco «Ocean Rift», tuffo negli abissi tra delfini, tartarughe e squali. Ecco «Gyeongju vr museum», app non proprio riuscitissima va detto, comunque nelle intenzioni serve a esplorare alcuni tesori della Corea. L’antipasto del turismo che verrà.

Dopo pochi secondi ci si dimentica di dove ci si trova. Non più sulla poltrona o su una sedia qualsiasi della propria casa, ma dentro un altrove che pare vero

C’è già tanto e per tutti i gusti. Anche dopo un’ora d’utilizzo, il visore non stanca, non scalda o comunque non trasmette calore (tra smartphone e occhi c’è una certa distanza) e, almeno a chi scrive, non ha creato vertigini o altri particolari disagi. Interessante e di maggiore valenza statistica è come su ogni app sia indicato se gli utenti, in media, la trovino fastidiosa oppure no. Siamo però nel terreno della soggettività e della sensibilità personale, come per il 3D, quindi non esistono regole assolute. Invece è la regola, è quasi oggettivo, che dopo pochi secondi ci si dimentichi di dove ci si trova. Non più sulla poltrona o su una sedia qualsiasi della propria casa, ma dentro un altrove che pare vero. Perché questo altrove è tutto intorno, perché cambia mentre ci muoviamo e tocca corde che nessuna tv, per quanto gigante, per quanto dotata dell’ultima tecnologia per la vividezza dei colori, saprà anche solo sfiorare. Il Gear VR non è un prodotto perfetto, ma fa il suo dovere. Mantiene le promesse. È un primo passo in un mondo in cui è meraviglioso perdersi.

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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