samsung galaxy s3
Houang Stephane, Flickr
Tecnologia

Lo smartphone migliore? Quello che hai già

iPhone 7 o Galaxy S7? Nessuno: per giocare e lavorare va benissimo il telefonino di un paio di anni fa. Ecco perché

Diciamo la verità: quale grande innovazione hanno portato i recenti iPhone e Samsung Galaxy sul mercato rispetto ai modelli immediatamente precedenti? Forme e design diversi? Potenza e autonomia? Possibilità di aprirsi a mondi di intrattenimento e svago del tutto nuovi? No, niente di tutto ciò. Al massimo entrambi hanno perfezionato il reparto fotografico, spostando sempre più in la i limiti del possibile, ma poco altro.

Vale dunque la pena comprarsi, ogni 12 mesi, il nuovo prodotto solo per tenere il passo della moda e dei minimi cambiamenti? Gli appassionati e i cultori hi-tech ne saranno assolutamente convinti ma sappiamo che, alla fine, un vero salto di qualità non c’è mai in un lasso di tempo così breve. Non a caso ci eravamo chiesti se abbiamo ancora bisogno di uno smartphone...

Si, perché anche se la tecnologia fa passi da gigante, la convinzione è che si sia arrivati a un punto in cui soprattutto la telefonia mobile si muove con un passo lentissimo, in termini evolutivi. Ne è convinto Douglas Rushkoff, professore di Teoria dei Media ed Economia Digitale alla City University di New York, che ha descritto con un post cosa vuol dire per lui accontentarsi di ciò che abbiamo già.

L’ultimo smartphone non è nient’altro che uno status symbol - spiega - vuol dire che avete valutato quell’oggetto una soluzione migliore per lavorare o passare del tempo. E non è del tutto colpa vostra. È infatti difficile dire di no alla doppia lente della fotocamera, alla sicurezza dello scanner dell’iride o al rinnovato pulsante Home. Si tratta di implementazioni che rendono più affascinante scattarsi delle foto o accedere al terminale guardandolo. Almeno per i prossimi tre mesi”.

I costi del cloud

Al di là della spesa non irrilevante del dotarsi sempre del dispositivo più recente, Douglas prende in considerazione anche il costo che la mobilità oggi deve sostenere, a partire da quello inerente i contenuti di cui fruiamo ogni giorno. Facebook e Twitter, di per sé, non sono fisicamente dentro il telefono, così come gli assistenti vocali (Siri, Google Now, Cortana) e i messaggi di posta. Si trovano tutti in qualche server sparso per il mondo, che si ritrova a dover gestire milioni di informazioni in più rispetto a qualche anno fa, quando connettersi in rete fuori da casa o dall’ufficio era un vezzo per pochi.

“La parte del leone, nell’attività di uno smartphone, la fa il processore quando consuma energia per prelevare dati residenti altrove - spiega - tutti quei video che ci piace guardare causano calcoli e analisi complesse. Un’ora di filmati alla settimana per un anno costa quanto mantenere accesi due frigoriferi”. E, alla fine, quando mettiamo via il vecchio cellulare per il nuovo, avremo solo consumato il 20% dell’autonomia totale a disposizione. Questo vuol dire che se uno smartphone appena comprato ha una batteria capace di portarci a 10 ore di uso medio-alto, dopo un anno di sfruttamento alquanto estremo, quel ciclo di vita si riduce a 8 ore. Non questa grande tragedia.

Le materie prime

C’è poi il problema dei materiali di costruzione. I telefonini moderni saranno anche più snelli e leggeri ma contengono ancora diversi grammi di metalli considerati rari e provenienti da zone di conflitto (qui un interessante report di Focsiv). Tra questi c’è la cassiterite dal Congo, l’oro, il tungsteno e il tantalio. È chiaro che pesare sull’ottenimento periodico e senza sosta di tali elementi non fa altro che aggravare la situazione di lavoratori, spesso sfruttati, e delle stesse zone di prelievo, destinate alla continua speculazione economica. Ci sono poi aziende come Apple che, nonostante non producano device “etici” e privi di materiali da conflitto, hanno attivato un controllo profondo di tutta la catena produttiva, inserendo nella scelta e nella raffinazione delle materie, partner e controllori autorizzati. Ma non basta.

Addio osbolescenza

“L’unica risposta a un panorama del genere, la sola che il mondo tech può dare, è imparare a fare telefoni che durino il più a lungo possibile. Invece di favorire sempre di più l’obsolescenza (la perdita di valore di un bene causata dal progresso ndr.) bisognerebbe adattarsi, programmare, risolvere. Quello che fa davvero grande uno smartphone non è quanto profumi di nuovo ma per quanto tempo può rimanere in vita ed essere utile”.

Difficile cambiare

Eppure le stesse big non sembrano voler cambiare idea. iOS 10 ad esempio, l’ultimo sistema operativo mobile di Apple, non si può installare su iPhone 4 o 4S e nemmeno sull’iPad di prima generazione. La questione per Android è ancora più complessa, considerando l’ecosistema delle decine di produttori coinvolti. Solo i telefonini più recenti possono essere aggiornati a Lollipop e Marshmallow, spingendo così le persone ad abbandonare i telefonini attuali per passare a quelli supportati, in una rincorsa alla spesa che sembra non avere fine. 


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Antonino Caffo

Nato un anno prima dell’urlo di Tardelli al Mondiale, dopo una vita passata tra Benevento e Roma torno a Milano nel cui hinterland avevo emesso il primo vagito. Scrivo sul web e per il web da una quindicina di anni, prima per passione poi per lavoro. Giornalista, mi sono formato su temi legati al mondo della tecnologia, social network e hacking. Mi trovate sempre online, se non rispondo starò dormendo, se rispondo e sto dormendo non sono io. "A volte credo che la mia vita sia un continuo susseguirsi di Enigmi" (Guybrush Threepwood, temibile pirata).

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