Android: perché le app gratuite sono un problema
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Android: perché le app gratuite sono un problema

Un team di ricercatori svela cosa si nasconde dietro le applicazioni a costo zero disponibili sul Play Store: una serie di insidie a noi sconosciute

Niente di più semplice: il mondo delle app si divide in due categorie, quelle a pagamento e le gratuite. Nel mezzo si sono oramai insediate da tempo le cosiddette freemium, ovvero le applicazioni il cui download è gratuito ma che richiedono un pagamento successivo per accedere a funzioni e contenuti aggiuntivi prelevando i soldi dal credito telefonico o dalla carta registrata sui negozi digitali più conosciuti.

Non è tutto oro

Le app più utilizzate sono chiaramente quelle che si scaricano a costo zero e che una volta installate permettono di giocare o svolgere determinate azioni senza spendere un centesimo. Questo non vuol dire che per usarle l’utente non paghi nulla perché al di là dei soldi ci sono tanti metodi che permettono ai creatori di monetizzare sui download gratuiti. Ecco allora che i ricercatori della Cornell University hanno gettato nuove ombre sugli scopi di migliaia di app Android gratis che tra un clic e l’altro mostrano annunci pubblicitari di vario genere. Essendo anima anche del commercio elettronico, la pubblicità è l’unico mezzo tramite cui chi crea app può guadagnare qualcosa che, nel caso di sviluppatori indipendenti, può voler dire davvero pochi spiccioli; un motivo in più per inserire tanti collegamenti esterni all’interno delle app gratuite con finestre di pop-up e banner che sponsorizzano siti web, app e altri tipi di contenuti (suonerie, sfondi, musica, ecc.).

Origine sconosciuta

Da dove arrivano quei banner? Vengono scelti dagli sviluppatori o sono casuali, generati in maniera automatica? Il problema è proprio questo: non è possibile capire in che modo venga comandata la macchina dell’adv (advertising in inglese) su smartphone e tablet, soprattutto quando entrano in gioco software sviluppati da singoli soggetti o piccole aziende che, a differenza dei nomi noti, hanno maggiore interesse ad inserire tecniche simili.
Proprio alla Cornell hanno realizzato un programma in grado di scandagliare il Play Store di Google alla ricerca di app gratuite che possono rappresentare un pericolo per chi le utilizza. Quello che i ricercatori hanno scoperto ha dell’incredibile: tutte le 2.000 applicazioni oggetto del test sono connesse a ben 250.000 siti web appartenenti a più di 2.000 domini. Questo vuol dire che le app aprono le porte del proprio codice a numerosi portali che a turno mostrano annunci forniti da servizi esterni che potrebbero anche ricevere informazioni sulle abitudini d’uso degli utenti Android.

Google è in cima

Tra i website a cui le app si connettono maggiormente c’è Google che offre un proprio servizio pubblicitario e che non dovrebbe rappresentare una grossa minaccia per i possessori di un dispositivo Android. Però almeno il 10% delle analizzate è collegato ad altre 500 piattaforme dalla dubbia provenienza e i cui banner non possono essere né bloccati né evitati. Nel caso delle app freemium, con il pagamento di un dazio economico si elimina la visione di spazi pubblicitari ma il gran numero delle app gratis al 100% è tale da richiedere uno studio più approfondito sulle modalità di fruizione e accesso delle inserzioni.

Maggiore attenzione al download

I ricercatori non affermano che chiunque scarichi app Android gratuite sia soggetto al pericolo di privacy; ci sono tanti servizi il cui scopo è realmente quello di mostrare annunci e sperare che le persone clicchino per fare visite ma è chiaro che un certo ripensamento generale debba pur esservi. Quando scarichiamo dal Play Store un’app senza spendere nulla pensiamo davvero a quale sia il tornaconto di chi la propone? Davvero esistono persone che lavorano senza alcuna pretesa pur di farci divertire alla fermata del tram o tra una lezione e l’altra di matematica? La risposta è no e per questo prima di scaricare un’app dalla dubbia provenienza sarebbe meglio farsi un paio di domande, porre attenzione a dove si clicca e non permettere l’accesso ai propri account social. Anche questa si chiama prevenzione.

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Antonino Caffo

Nato un anno prima dell’urlo di Tardelli al Mondiale, dopo una vita passata tra Benevento e Roma torno a Milano nel cui hinterland avevo emesso il primo vagito. Scrivo sul web e per il web da una quindicina di anni, prima per passione poi per lavoro. Giornalista, mi sono formato su temi legati al mondo della tecnologia, social network e hacking. Mi trovate sempre online, se non rispondo starò dormendo, se rispondo e sto dormendo non sono io. "A volte credo che la mia vita sia un continuo susseguirsi di Enigmi" (Guybrush Threepwood, temibile pirata).

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