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Un A330 in decollo da Kabul. Nel riquadro, un imbarco il 16 agosto 2021 (Ministère de la Défense).
Dal Mondo

Ritiro dall'Afghanistan: la Francia ha fatto meglio di tutti

L'evacuazione organizzata da Parigi a maggio dimostra che le truppe occidentali a Kabul si sarebbero potute muovere prima.

«Perché sull'Afghanistan la Francia è stata più lucida degli Stati Uniti». Il titolo del commento apparso il 31 agosto sul Financial Times non lascia spazio a dubbi. Scritto dal capo dell'ufficio parigino del quotidiano britannico, Victor Mallet, l'editoriale sostiene che «Parigi, che ha iniziato l'evacuazione degli afghani e del personale, aveva una valutazione "più spassionata" delle stesse fonti di intelligence».

Già, i tempi dell'evacuazione. È il controverso tema su cui si stanno arrovellando gli analisti militari, dopo la conclusione del fallimentare ritiro delle truppe Nato da Kabul lo scorso 31 agosto. «Sarà necessario investigare le cause della débâcle: le organizzazioni e i generali che hanno perpetrato l'inganno costoso dell'Esercito afghano» osserva l'esperto di intelligence Edward Luttwak.

Capire se esisteva un modo diverso per organizzare la ritirata non è un esercizio accademico, ma il tentativo di trovare una «lezione imparata» per evitare disastri simili in futuro. In attesa delle indagini e delle commissioni d'inchiesta, gli analisti si sforzano di capire che cosa si sarebbe dovuto fare. Su un punto la maggior parte concorda: il ritiro sarebbe dovuto iniziare prima. Lo ha detto ai ai microfoni della Bbc, il comandante delle Forze armate britanniche in Afghanistan, Nick Carter.

Negli Stati Uniti, lo ha ribadito il rappresentante democratico Jason Crow, veterano dell'Iraq e dell'Afghanistan, che fra il 10 e il 24 agosto ha aiutato a portare a termine 1.500 evacuazioni e richieste di visto Usa. Esprimendo «ardente disaccordo» con la Casa Bianca, il deputato del Colorado ha detto che l'evacuazione dei civili sarebbe dovuta iniziare mesi fa e che decine di migliaia di persone sarebbero potute essere portate in salvo.

Già, le decine di migliaia di afghani legati all'Occidente rimasti intrappolati nel Paese, in balia dei talebani. O, peggio ancora, dell'Isis Khorasan. Quanti sono? In un'intervista di Fausto Biloslavo, il generale Luciano Portolano, che ha gestito l'evacuazione degli afghani legati all'Italia (interpreti e collaboratori, ma anche attivisti, sportivi, intellettuali, membri di ong e religiosi), ha stimato che coloro che sono rimasti indietro siano «altrettanto rispetto a quelli evacuati». Cioè 4.980.

Molto più numerosi gli afghani con legami con gli Stati Uniti. Come scrive il Washington Post in un articolo intitolato «Paura e incertezza per gli americani e i loro partner afghani bloccati in Afghanistan», sono migliaia gli afghani possessori di Green card, residenti negli Stati Uniti, con visti d'accesso o richiedenti che non sono riusciti a uscire dal Paese. «Molti di più sono gli afghani che lavoravano per organizzazioni non governative, insegnanti, appaltatori e alcuni che avevano lavorato per progetti di sviluppo finanziati dagli Stati Uniti» aggiunge il Washington Post.

Critiche che Joe Biden respinge al mittente. Nel suo primo discorso dalla fine della guerra in Afghanistan, il presidente Usa ha sottolineato di essere «rispettosamente in disaccordo» con coloro che affermano che avrebbe dovuto iniziare le evacuazioni di massa prima, sostenendo che ci sarebbe stata una «corsa all'aeroporto». In altre parole, lasciare l'Afghanistan sarebbe stato un caos in qualunque modo fosse stato fatto.

Come purtroppo hanno mostrato tutte le televisioni del pianeta, la corsa all'aeroporto di Kabul c'è stata comunque. Quello che invece non hanno mostrato è stata l'evacuazione organizzata dai francesi. «L'esempio del governo francese dimostra che c'erano altri modi per evacuare» è stato il commento comparso su Politico.com intitolato «I francesi lo fanno in modo diverso».

Il sito d'informazione statunitense spiega che «il governo francese ha iniziato a evacuare il suo personale locale afghano il 10 maggio, tra cui cuochi, autisti e addetti alle pulizie (...). L'obiettivo era di avere solo il personale francese rimanente entro luglio - e infatti un volo di evacuazione finale per il personale non essenziale è decollato il 17 luglio, quando i talebani controllavano già gran parte del Paese, quattro settimane prima della caduta di Kabul».

I primi afghani sbarcati in Italia, in tutto 82 fra collaboratori e rispettive famiglie, sono arrivati a Fiumicino il 14 giugno, un mese dopo rispetto ai loro connazionali riparati in Francia. Ancor più lente le evacuazioni realizzate dagli Stati Uniti, che hanno portato nella base militare di Fort Lee, in Virginia, il primo gruppo di 200 interpreti afghani, con rispettive famiglie, soltanto il 30 luglio.

«A maggio - tre mesi prima della caduta di Kabul in mano ai talebani - la Francia ha iniziato ad evacuare gli afghani che lavoravano per la sua ambasciata e altre organizzazioni francesi, insieme alle loro famiglie» ha riepilogato Mallet sul Financial Times. «Secondo i funzionari, 623 persone sono state trasportate in Francia nelle settimane prima che l'esercito afghano crollasse e che il gruppo militante islamico prendesse il potere. Queste evacuazioni si sono aggiunte agli 800 afghani e relativi parenti che avevano lavorato con le forze armate francesi e che erano già stati trasferiti, dopo che Parigi aveva terminato le operazioni militari in Afghanistan nel 2014».

Già il 17 maggio scorso, Le monde scriveva: «Tutte le categorie di personale sono ora considerate da Parigi come potenzialmente a rischio se Kabul viene conquistata dai talebani. Agli autisti, ai cuochi, agli impiegati delle agenzie culturali e di cooperazione, al personale di pulizia e manutenzione è stato offerto un destino diverso. All'inizio di luglio, se il progetto sarà completato, rimarrà solo il personale francese. L'ambasciata francese a Kabul e i suoi satelliti saranno quindi praticamente chiusi, non potendo funzionare. Una situazione che rischia di essere percepita dalle autorità afghane come il fatto che Parigi dà per scontato che non sono in grado di affrontare la pressione dei talebani e che la vittoria di questi ultimi è certa».

Parole profetiche... Sempre il 17 maggio, il quotidiano parigino spiegava anche che la scelta di mettere in salvo il personale a rischio rispondeva «a un'analisi molto pessimistica del futuro del Paese, mentre il ritiro in corso delle forze americane pone gli insorti talebani in una posizione di forza nei confronti del regime di Kabul. Questa decisione, presa all'insaputa delle autorità afghane, sta tuttavia creando scompiglio con i partner europei che non sono stati consultati, alcuni dei quali ne contestano la validità».

In sostanza, non solo la Francia aveva capito prima di tutti quello che sarebbe avvenuto a fine agosto a Kabul, ma (paradossalmente) era stata contestata per aver messo in salvo per tempo i suoi collaboratori afghani. Commenta l'esperto di strategia militare Gianandrea Gaiani, direttore del sito AnalisiDifesa: «È vero che la Francia ha cominciato l'evacuazione per tempo. È anche però vero che aveva esigenze limitate, dato che non aveva più un contingente in Afghanistan dal 2014. Di fatto, erano restati solo i collaboratori dei servizi segreti e il personale dell'Ambasciata. Resta il fatto che Parigi si è mossa prima di tutti. Diciamo che ha fatto valutazioni di intelligence meno ottimistiche rispetto a quelle della Nato e degli Stati Uniti».

L'intelligence, appunto. Gli alti funzionari parigini e gli analisti indipendenti sostengono di aver aver condiviso le stesse fonti di intelligence degli altri Paesi occidentali e che la differenza l'ha fatta la sua valutazione. «Mentre i francesi sono stati in grado di avere una visione più spassionata e di trarre le ovvie conclusioni sulle conseguenze del ritiro degli Stati Uniti, gli americani sono stati accecati dalla loro lunga associazione con le forze armate afghane, dal loro investimento di oltre un miliardo di dollari nel Paese e dalla natura macchinosa dei loro sistemi di intelligence» ha osservato il Financial Times.

«In Afghanistan probabilmente le fonti erano le stesse» ammette Gaiani. «Ma non possiamo dimenticare che Parigi ha ottime fonti d'intelligence in Pakistan. E visto che il motore dell'avanzata dei talebani è stato il Pakistan, non stupisce che la Francia si sia mossa prima di tutti». Un dato di fatto che neppure l'americano Edward Luttwak può smentire. Quando Panorama gli chiede se i francesi siano stati più avveduti degli americani in Afghanistan, il suo laconico commento è: «I francesi sanno fuggire meglio».

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Elisabetta Burba