La donna che vuole creare l'inferno in terra (usando le biotecnologie)
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Tecnologia

La donna che vuole creare l'inferno in terra (usando le biotecnologie)

Un gruppo di filosofi sta esplorando la possibilità di sfruttare le biotecnologie per prolungare la pena reale e percepita per i criminali più violenti. Ma le soluzioni proposte sfiorano la fantascienza, e la tortura

Facciamo una conta: alzi la mano chi crede nell’esistenza di un inferno. E non parlo necessariamente di un labirinto di gironi danteschi con fiamme vive e dannati gementi, quanto di una sorta di punizione eterna che possa in qualche modo riportare in asse la bilancia della giustizia a fronte dei crimini più imperdonabili.

Io non ci ho mai creduto, ma del resto non credo nemmeno nel paradiso, nel perdono divino e nella gloria dei cieli, ma credo che anche i più acritici tra i baciapile nutrano forti dubbi sull’esistenza di una vera e incontrovertibile penitenza divina.

Ebbene, c’è chi sta pensando a come realizzare un inferno in terra che convinca anche i miscredenti come noi che una punizione eterna è possibile, oltre che auspicabile. Nello specifico, Rebecca Roache, filosofa dell’Università di Oxford, sta esplorando, insieme a una squadra di accademici, la possibilità di sfruttare le biotecnologie per infliggere ai peggiori criminali una pena veramente adeguata.

Alcuni crimini sono così efferati che richiedono un lungo periodo di pena, e molte persone sembrano sottrarsi a questa punizione attraverso la mortespiega Roache al magazine online Aeon “Perciò ho pensato, perché non rendere le condanne a vita ancora peggiori per detenuti particolarmente odiosi, prolungando la loro vita?

Ora, a parte il fatto che ancora non siamo in possesso della tecnologia che ci consenta di prolungare la nostra vita per decine d’anni, se non secoli (parliamo di un orizzonte molto lontano, in realtà), la questione mostra il fianco a una serie di perplessità. Ad esempio: è proprio vero che allungando la vita a un ergastolano rendiamo la sua pena peggiore? Che utilità sociale può avere, a fronte del costo necessario, chiudere un individuo in una cella per decenni e decenni? Ma soprattutto: se lo scopo di una pena è davvero infliggere una punizione il più pesante possibile, tanto varrebbe trasformare l’ergastolo in 20 o 30 anni di tortura continua, no?

Quest’ultima è una provocazione, naturalmente, ma non fatevi sentire troppo che Roache e colleghi potrebbero prendervi sul serio. Scartata – per ovvie ragioni – la possibilità di infiggere pene eterne ai detenuti, il team si sta concentrando sulla possibilità di prolungare la pena “percepita” dei detenuti, utilizzando farmaci che alterino la percezione del tempo.

Esistono una serie di sostanze psicotrope che distorcono nelle persone il senso del tempo, perciò possiamo immaginare di sviluppare una pillola o un liquido che faccia sentire un individuo come se stesse scontando una pena di 1000 anni” continua Roache “Naturalmente, è opinione comune che qualsiasi intromissione nelle funzioni cerebrali di una persona sia inaccettabilmente invasiva. Ma non è detto che bisogni per forza interferire direttamente con l’attività cerebrale.

Roache suggerisce una serie di soluzioni, come ad esempio trasformare ogni cella in un ambiente volutamente inospitale, utilizzando l’illuminazione e la musica per rendere inaccettabile passare del tempo in un simile ambiente (in una parola, ancora una volta: tortura). Anche se, parole sue, secondo Roache un’opzione efficace sarebbe sviluppare dei farmaci che amplifichino la sensibilità e la percezione emozionale, in modo da costringere chimicamente i galeotti a confrontarsi con il rimorso e l’autocommiserazione (sempre che ne abbiano un minimo).

Ma se davvero l’obiettivo è punire un criminale facendolo sentire da schifo per il resto dei suoi giorni, allora sarebbe sufficiente mandargli in cella uno come Rustin Cohle per una mezz’oretta.

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Fabio Deotto