Tecnologia

Pronti a vivere nella realtà aumentata?

Abbiamo provato per voi gli ultimi ritrovati della "realtà estesa" che veicolano immagini ed informazioni

Nei meandri di una città sconosciuta, lo stomaco reclama attenzioni dopo una lunga camminata. Qualsiasi ristorante lungo la strada potrebbe nascondere la classica trappola per turisti, ma basta puntare la fotocamera del telefonino verso ogni locale nei paraggi per non caderci. Per leggere sullo schermo, sovrapposte alle immagini inquadrate, le specialità della casa e le opinioni dei clienti. E lo stesso vale per i negozi (cosa vendono, a che prezzi), gli uffici (quali servizi offrono e che orari osservano), i monumenti (quando sono stati costruiti, che storie e reperti custodiscono). Altrove, durante la discesa su una pista di sci, compaiono davanti agli occhi la mappa del percorso curva per curva, la velocità a cui stiamo procedendo, le variazioni del battito cardiaco. Persino a che punto si trovano i nostri amici. E lo stesso può avvenire durante una corsa in un parco o sulla spiaggia, un giro in moto o in bicicletta. Oppure eccoci qui, nel semibuio di uno stanzone d’albergo, mentre all’esterno brilla il sole possente delle Hawaii. Tenendo lo smartphone in una mano, inquadriamo la stanza tutt’intorno: premiamo un tasto sul display, la carta da parati svanisce e viene sostituita dalla sterminata immensità del Grand Canyon. Possiamo esplorarne il paesaggio muovendo il cellulare in ogni direzione, camminando in avanti per scorgere meglio un dettaglio, indietreggiare per ottenere una visione d’insieme; persino girare un video con la nostra incredula sagoma piazzata al suo interno. Lo inviamo agli amici, lo pubblichiamo sui social vantandoci di trovarci dove non eravamo. Quelli descritti fin qui sono solo alcuni esempi pratici della cosiddetta «extended reality», della realtà estesa. Di elementi digitali che invadono lo spazio circostante, lo arricchiscono di contenuti coerenti con il contesto, di informazioni utili o solo divertenti, curiose, inaspettate. Prove generali, anche, della prossima generazione dell’intrattenimento: dinosauri e guerrieri che saltano fuori da dietro il divano, partite di calcio che si guardano non sul televisore ma in tre dimensioni sopra il tavolo del salotto. Aspettiamoci questo futuro: sarà la consuetudine nei prossimi 10 anni, come ha preconizzato e dimostrato Qualcomm durante lo «Snapdragon Tech Summit» organizzato nei giorni scorsi a Maui, davanti a più di 300 giornalisti, tra cui l’inviato di Panorama, esperti e analisti arrivati da tutto il mondo. L’azienda di San Diego produce i chip, i cervelli in miniatura che fanno funzionare già oltre un miliardo di dispositivi Android dei principali brand globali, da Samsung a LG, da Sony a Nokia. Proprio i loro prodotti saranno i lasciapassare verso questo mondo aumentato, le lenti con cui lo guarderemo: basterà inquadrare le cose e queste si animeranno o si popoleranno di dati. Diranno dov’è il binario del nostro treno in una stazione o qual è il «gate» in aeroporto, forniranno istruzioni visuali per montare il mobile appena acquistato o riparare un guasto in bagno. Presto, gli smartphone saranno affiancati da oggetti indossabili. Da occhiali che proietteranno le informazioni ad altezza retina, riconoscendo cosa stiamo osservando e adeguando il contenuto alla direzione dello sguardo. Il visore Magic Leap One, che tra i suoi investitori annovera Google e la stessa Qualcomm, ha molte di queste caratteristiche ed è disponibile a circa 2 mila euro per gli sviluppatori. Se sa di già sentito, c’è una ragione: a livello teorico ci aveva provato ancora Google con le sue Lens e c’è riuscita in parte Microsoft con le sue HoloLens. Ma entrambi gli esperimenti di occhiali ipertecnologici, più che di immaturità, avevano un difetto di precocità. Perché per funzionare a dovere, un modello del genere ha bisogno di un accesso istantaneo e fulmineo a internet. Solo così si evitano rallentamenti e improvvide attese, c’è l’immediatezza di un feedback rapido come, appunto, impone uno sguardo. All’equazione mancava il 5G, la rete mobile superveloce di prossima generazione che, per intenderci, è in grado di scaricare un’intera stagione di una serie televisiva in meno di un minuto. La notizia è che già nel primo semestre del 2019 arriveranno i primi modelli che supportano questa tecnologia: dal palco di Qualcomm la cinese OnePlus ha annunciato l’imminenza di un suo smartphone per bocca del Ceo Pete Lau; Motorola ha invece fatto provare ai presenti un modulo che metterà il turbo sul web ai suoi cellulari. Questione di mesi. Si attendono affari consistenti: una ricerca della società di analisi Idc citata da Statista stima che il business congiunto della realtà virtuale e aumentata passerà dai 27 miliardi di dollari del 2018 ai 210 del 2022. Quasi 10 volte tanto. Mentre eMarketer prevede ricavi pubblicitari per 2,6 miliardi di dollari annui, sempre nel 2022. Segno che accanto alle recensioni del ristorante o alle indicazioni per sistemare un tubo dell’acqua, potrebbero comparire brevi spot. Si spera poco invasivi e, in cambio di servizi gratuiti, ubbidendo a una logica preistorica della rete. «Il futuro prevede un’integrazione tra la realtà aumentata e il 5G. La sfida primaria è ottimizzare queste nuove piattaforme bilanciando performance, autonomia e qualità dell’esperienza finale» ragiona con Panorama Kedar Kondap, vicepresidente del product management di Qualcomm. Perché lo smartphone saprà sì arricchire il mondo, ma non dovrà certo spegnersi in una manciata di ore: «Una durata della batteria di almeno un giorno resta il traguardo di riferimento», mentre Rajan Patel di Google, conferma che «lo stato dell’arte della realtà aumentata richiede una fruizione in tempo reale». A latenza quasi nulla, con attese simili allo zero, altra prerogativa del 5G: «Che spalancherà la prossima generazione delle esperienze in mobilità, portando connettività e intelligenza dappertutto. Esperienze a 360°, che renderanno migliori tante attività quotidiane» osserva il Ceo di Qualcomm Cristiano Amon. Formule accattivanti a parte, a supporto di questo futuro ci sono le altre varie prove pratiche mostrate a Maui. Per esempio, un algoritmo che sa cambiare il colore dei capelli di un soggetto in movimento dalla folta chioma. Non si tratta di un puro divertissement: vuol dire che la macchina sa vedere i capelli, seguirne senza difficoltà le traiettorie irrequiete, a conferma di quanto preciso sarà il riconoscimento degli oggetti nel mondo aumentato. Che potrà essere anche diminuito, sfrangiato del superfluo: cuffie in testa, abbiamo quindi ascoltato la telefonata di un soggetto che ci chiamava da un ambiente caotico. Tramite un filtro digitale software, il rumore di fondo all’improvviso scompariva e potevamo sentire con chiarezza soltanto la sua voce. Significa che, presto, telefonare da uno stadio, una piazza gremita o un aeroporto, essere capiti come se si fosse in una stanza silenziosa, non sarà più un’utopia. In questo trionfo di ottimismo e di progresso, c’è un punto trattato con timidezza, quasi taciuto, relegato alla periferia della presentazione: con lo strapotere degli occhiali hi-tech e, più avanti ancora, di lenti a contatto che proietteranno le informazioni direttamente nell’occhio (sono già in corso alcune sperimentazioni), gli smartphone, i tablet, persino i televisori sono destinati all’estinzione o, come minimo, a ricoprire un ruolo marginale. «La battaglia degli schermi è finita. Esperienze visuali ad alta risoluzione appariranno nel tuo mondo quando vuoi tu». A scandirlo senza enfasi, con la sicumera che accompagna una profezia inevitabile, è David Cole, cofondatore di NextVR, società californiana che trasmette concerti, partite di tennis e di basket in realtà virtuale. Il ragionamento tiene: se nella realtà estesa il digitale tende a insinuarsi dappertutto, avrà poco senso rinchiuderlo nella cornice stretta di un display. (Twitter: @MarMorello) © riproduzione riservata

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