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Perché sanzionare la Russia (e perché no), o le censure censurabili

Leggevo ne La Stampa di sabato scorso un articolo di Adam Michnik, il ben noto intellettuale polacco, ex dissidente ai tempi del controllo sovietico sull’Est Europa, nel quale si invita in sostanza a “fermare la Russia”, tratteggiando un parallelo fra …Leggi tutto

Leggevo ne La Stampa di sabato scorso un articolo di Adam Michnik, il ben noto intellettuale polacco, ex dissidente ai tempi del controllo sovietico sull’Est Europa, nel quale si invita in sostanza a “fermare la Russia”, tratteggiando un parallelo fra il regime putiniano, da un lato, e il nazismo e comunismo (sì, entrambi), dall’altro. Nel testo si dice, fra le altre cose, che la mancata risposta per tempo da parte dell’Europa alla crescita di quei due fenomeni minacciosi “rimarrà per sempre il triste ricordo del XX secolo”.

Io non credo, personalmente, che possano esistere repliche pedisseque, mutate le circostanze in cui questi si svolgevano, di fenomeni storici precisi; per questo motivo non ho particolare paura di un ritorno di qualche regime. Temo di più sviluppi autonomi e originali, per così dire. Ma questa è una mia opinione, e in ogni caso non coglie il punto. Ritengo invece perfettamente legittima e razionalmente motivabile un’assoluta opposizione alla Russia, per ciò che è e per ciò che rappresenta o ha rappresentato, soprattutto quando questa proviene da persone che, come Michnik, hanno subito in prima persona e sulla pelle della propria nazione la durezza del giogo russo-sovietico; anche se, nel caso specifico, va riconosciuta a Michnik una condotta equanime e una certa attenzione alla normalizzazione dei rapporti russo-polacchi. D’altra parte è indubbio che anche la Russia attuale conservi delle caratteristiche di stato autoritario e che larga parte del potere sia detenuto, ed esercitato, in modo piuttosto opaco e con modalità inimmaginabili e intollerabili da noi.

Tutto questo, in sintesi, significa che siamo tutti d’accordo nel constatare, giacché sono dati di fatto, le mancanze in fatto di democrazia della Russia attuale. Che tali mancanze siano strutturali, o che invece siano largamente dovute a un processo storico in divenire (e che di conseguenza siano da apprezzare semmai gli enormi progressi rispetto a venti o cinquanta anni fa) è materia opinabile. In questo senso, tuttavia, ogni conclusione è legittima e “giusta”, in quanto non oggettivamente menzognera. Guardare con sospetto la Russia per quello che è oggi, e anche sanzionarla e limitarla in altri modi, è allora una decisione perfettamente logica e sostenibile; e rispettabile anche da chi, come me, ha sul tema un’opinione opposta.

Lunedì anche Der Spiegel, influente periodico amburghese, ha pubblicato sul proprio sito un editoriale redazionale assai virulento, nel quale si chiede in sostanza l’isolamento della Russia dal contesto dei paesi civili. Il tono dell’articolo è simile a quello di Michnik, così come simili sono le conclusioni; ma a differenza dell’altro, che sembra riferirsi più all’essenza del regime russo e alla minaccia che questo costituisce per i suoi vicini, la domanda di sanzioni da parte dello Spiegel richiama le responsabilità di Putin e della Russia nella vicenda ucraina e nell’abbattimento del volo malese (anche, peraltro, ripetendo la storia già sbugiardata di un presunto “leader separatista” che avrebbe parlato alla Reuters di sistemi d’arma forniti dalla Russia; leader che poi è stato identificato come un doppiogiochista già in contatto con le autorità ucraina per la consegna di Doneck).

Ecco, qui le cose vanno meno bene. La crisi ucraina, che ha le proprie radici non solo nel sistematico saccheggio di quella nazione dopo il crollo dell’Urss (imputabile sia ai “filorussi” sia ai “filoccidentali”) ma perfino nelle travagliate vicende novecentesche e in generale nella complessa identità di un paese antichissimo che non è mai stato una nazione e tantomeno uno stato, ha avuto comunque il proprio momento di svolta nell’appoggio incondizionato dato dall’Occidente al rovesciamento del presidente Janukovyč (evento, ça va sans dire, illegale e antidemocratico e che dunque non può in alcun modo rientrare in una dinamica di promozione della democrazia). Anzi, probabilmente il punto di svolta è stato il permanere di quell’appoggio anche quando al rovesciamento del “fazioso” Janukovyč è seguito l’instaurarsi di un governo altrettanto fazioso, sia pure di segno opposto, in luogo di un esecutivo di unità nazionale che avrebbe – forse – tenuto assieme le complesse appartenenze ucraine. Senza citare il supporto acritico a qualsiasi provvedimento del nuovo governo, anche quando questi andavano contro i legittimi diritti e spesso contro le vite stesse di cittadini ucraini.

In conclusione, mi sta benissimo – è comprensibile sia alla luce degli interessi “occidentali”, sia constatando con lucidità quanto ancora oggi sia poco affidabile e forse potenzialmente pericolosa la Russia – che quest’ultima venga isolata e sanzionata. Non mi piace però che questo avvenga sotto il pretesto di una tragedia che è stata semmai cavalcata contro la Russia, e da chi voleva danneggiarla; non mi piace soprattutto che siano gli intellettuali europei, e una voce autorevole come quella dello Spiegel, a ripetere questa impudicizia. Perché un’altra cosa suona a me come “un triste ricordo del XX secolo”, ed è lo schierarsi degli intellettuali – in nome di ideali e idealismi e avendo ben chiara una stella polare di giustizia sul lungo periodo – a fianco di battaglie portate avanti a suon di opportunismi e meschinità, quando non di bugie.

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Tommaso Giancarli

Nato nel 1980, originario di Arcevia, nelle Marche, ho studiato Scienze  Politiche e Storia dell'Europa a Roma. Mi sono occupato di Adriatico e  Balcani nell'età moderna. Storia e scrittura costituiscono le mie  passioni e le mie costanti: sono autore di "Storie al margine. Il XVII  secolo tra l'Adriatico e i Balcani" (Roma, 2009). Attualmente sono di  passaggio in Romagna.

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