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Fare start-up in Umbria: una missione difficile ma possibile - FOTO e VIDEO

Appena 80 realtà (10 di giovani). Scarsi investimenti e un solo incubatore. Ma Terre di Grifonetto, Nomastar, UAS e Leaf funzionano

Le premesse non erano delle migliori. Il quadro sul mondo delle startup in Umbria lo fa, lapidario, Giuseppe Ravasi, manager of Cloud Ecosystem Development di Ibm Italia: ne registra poco più di 80, un dato che colloca la regione al 17esimo posto, il terzultimo, tra le regioni italiane.

Start-up in Umbria: un settore da coltivare

Inizia così l'incontro sullo sviluppo delle nuove idee di impresa a Perugia, nell'ambito di Panorama d'Italia, il tour in giro per il Paese promosso dal settimanale Panorama. "Ma questo è solo un dato di superficie - precisa Ravasi - perché poi osservando la densità, cioè la quantità di start-up create in rapporto al numero di abitanti, l'Umbria sale alla metà della classifica.

Altra caratteristica: sono solo 10 le start-up a prevalenza giovanile. Operano quasi esclusivamente nel campo dei servizi, con qualche digressione nell'industria e nell'agroalimentare".

Le cause di questa scarsa presenza? "In primis la presenza di un solo incubatore", conclude il manager di Ibm.

Giuseppe Ravasi, Ibm: "Fare start-up in Umbra, una sfida difficile ma ambiziosa"

Miti da sfatare

Ma ci sono anche alcuni miti da sfatare. Domenico Arcuri, ad di Invitalia, a proposito di rapporti tra intervento pubblico e iniziativa privata, parte da lontano, dalla Silicon Valley californiana: "Si pensa erroneamente che quell'Eldorado imprenditoriale sia nato proprio lì per un mix virtuoso di fattori, più o meno casuali. Niente di più sbagliato, tutto ciò che è successo, è avvenuto principalmente per iniziativa dello Stato, che ha fortemente investito per lo sviluppo di quel territorio che più di altri aveva una tradizione hi-tech. Lo stesso può dirsi per il Cile, il Paese con la più alta densità di start-up nel mondo rispetto agli abitanti, il cui governo ha creduto nell'importanza delle imprese innovative e ha dirottato lì molti investimenti".

E l'Italia? "L'Italia è agli ultimi posti in Europa e nel mondo per quanto riguarda l'innovazione delle imprese. Per via di ragioni strutturali del nostro sistema economico e finanziario. Noi abbiamo voluto scardinare questo stato di cose con la nostra iniziativa Smart&Start, progetto nato nel 2013 proprio per creare una leva di finanziamento alle nuove imprese che prima non c'era. Ci sono arrivate 2.422 proposte di start-up, di queste ne abbiamo finanziate 674 (soltanto 3 in Umbria), abbiamo attivato investimenti per 201 milioni di euro e creato un lavoro diretto per 3.020 italiani con un indotto di circa 10 volte più ampio".

Ma com'è fatto lo startupper italiano tipo: "Anche qui bisogna sfatare un mito - spiega Arcuri - non siamo di fronte al genio incompreso che si sveglia una mattina con un'idea meravigliosa, ma a un profilo molto più normale, persone animate da tanta passione, e disposte a mettere "a terra" le loro capacità legate all'idea".

Una volta lanciata, la start-up può essere poi ulteriormente sostenuta per continuare a crescere, e in questo caso, Invitalia mette a disposizione il suo progetto Ventures, con il quale può entrare nel capitale dell'azienda.

Know-how da convertire in business

Un caso di start-up ante litteram è quello dell'Università Telematica Pegaso, nata 10 anni fa e oggi forte dei suoi oltre 30 mila studenti in tutta Italia.

A raccontarlo Danilo Iervolino, il suo fondatore e presidente. "Negli Stati Uniti, le più grandi start-up nascono proprio dal trasferimento tecnologico dall'Università ai suoi ricercatori e allievi-futuri imprenditori. Ed è proprio quello che vogliamo fare noi con la nostra nuova iniziativa che abbiamo battezzato Mercatorum, cioè la prima prima start-up university nata dalla partnership del suo ateneo con Unioncamere. Diamo competenze trasversali e creiamo laboratori operativi con i grandi testimonial e gli esponenti del mondo dell'industria, al fine di dare agli studenti tutte le competenze di cui hanno bisogno per convertire le competenze assimilate in realtà di business".

Fernando Napolitano, presidente e Ceo IB&II (Italian Business & Investment Initiative) interviene da New York: "L'obiettivo, in questa fase del nostro lavoro è accreditare l'Italia come territorio fertile per gli investimenti nell'imprenditorialità innovativa e di crerare connessioni tra l'Italia e gli Stati Uniti".

Tre le storie di start-up presenti intorno al tavolo.

Terre di Grifonetto: l'innovazione in agricoltura

È una start-up sui generis, perché creata nel settore agroalimentare, quella di Francesca Cassano, fondatrice di Terre di Grifonetto, che opera nella produzione e nella commercializzazione dell'olio. "Il nostro marchio nasce su due grandi pilastri, l'export e l'innovazione. Nel nostro settore quest'ultima assume un significato peculiare e quelle che sono conquiste tecnologiche scontate in altri settori, per noi possono risultare anche molto faticose.

Nel nostro caso, poi, innovazione non è soltanto tecnologia, bensì spazia anche in altri contesti, dall'immagine alle relazioni, oltre ovviamente all'acquisto di macchinari per la coltivazione e la produzione.

"La strategia di Terre di Grifonetto - argomenta Ravasi - rientra perfettamente nel nostro modo di sostenere l'imprenditorialità 'di frontiera', anche in un settore come quello agricolo, dove la nostra offerta di piattaforme analitiche e di cognitive e predictive computing può dare un contributo essenziale ad accrescere l'efficienza del business".

La videointervista a Francesca Cassano

Nomastar: fare start-up combattendo coi "mostri"

Lorenzo Lispi, prima di fondare la sua Nomastar, che produce vetrine espositive refrigerate che coniugano innovazione, design e alta qualità dei materiali e delle rifiniture ha avuto una formazione scolastica "traduzionale".

La svolta negli anni '90, con la domanda di finanziamenti a fondo perduto per realizzare un business nel settore della grafica digitale e con questa le prime esperienze - non sempre positive - con i 'mostri'. Il primo: la burocrazia".

A questo punto, la storia subisce uno stop e Lispi si rimette sul mercato con le sue competenze. Cambia diverse aziende, poi rimane "a spasso" e decide di proporre assieme a se stesso e alle sue capacità un'idea. Che sta alla base dell'azienda che attualmente gestisce. E che oggi è alle prese con un altro mostro, il mercato.

La videointervista a Lorenzo Lispi

L'hi-tech al servizio dell'hi-tech

A chiudere la carrellata delle start-up umbre è toccato a Gianpiero Scrascia, di Umbria Aerospace Systems, impresa nel settore dei componenti per aereoplani ormai avviata: "Vendiamo l'85 per cento dei nostri prodotti all'estero e, dai 5 dipendenti iniziali, ne contiamo oggi oltre 40. La nostra forza è 'fare bene cose nuove'".

La videointervista a Giampiero Scrascia

A margine della tavola rotonda, "90 secondi per spiccare il volo", il premio per la miglior idea di start-up del territorio. Nella tappa perugina, la vittoria è andata a Leaf che si occupa di gestione innovativa del sistema vitivinicolo.

Fare start-up in Umbria si può?

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Silvia Morara
“Start Up: Innovare e rinnovarsi”, l'incontro a Perugia per Panorama d'Italia.

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Luciano Lombardi