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Alessandro Tosatto

Come il cognitive computing sta rivoluzionando la nostra quotidianità

L'analisi di IBM Italia a Pavia per Panorama d'Italia: dall'analisi dei dati al robot Watson, la metamorfosi in corso

Il più grande albergatore del mondo, non possiede neanche una camera d’albergo. Il più grande supermercato del mondo non ha nemmeno uno scaffale fisico aperto al pubblico. Il più grande editore del mondo non ha in organico neanche un giornalista.

Airb&b, Alibaba, Facebook: sono figli dell’era digitale, icone di un cambiamento “disruptive” che, in un modo o nell’altro, coinvolge tutti noi e che dobbiamo saper cavalcare senza paura ma senza indugio.

La trasformazione in corso
Cristina Farioli, responsabile del business development di Ibm Italia, è un’appassionata “evangelista” della nuova era digitale e, con il collega Raffaele De Lucia, ha incontrato con Panorama una piccola platea di imprenditori e manager pavesi, determinati a capirne di più su come si può e si deve cavalcare la tigre di questa nuova era.

Raffaele De Lucia, Ibm Italia, e le nuove frontiere dell'IA

“Viviamo una fase di costante trasformazione che comporta momenti di ripensamento e riflessione”, spiega, dopo un filmato “emozionale” che di per sé dà il capogiro per la quantità e qualità di “cose nuove” che mostra. “A volte quando parliamo di digital transformation facciamo presentazioni pompose di dispositivi rari o lontani da noi, ma il cambiamento vero lo stiamo vivendo anche nelle piccole cose di ogni giorno”.

E qui arriva la prima provocazione: “Vi siete mai chiesti se siete sul punto di essere uberizzati?”. Un settore storico e capillare come quello dei taxi sconvolto e in alcuni Paesi quasi spazzato via da una piattaforma che permette a chiunque di fare “anche” o “in parte” un mestiere monopolizzato. E certamente tutta la “platform economy” è figlia legittima del digitale.

Ma c’è ben di più nel presente e nel domani della nuova era del “cognitive computing”, che Ibm declina nel mondo col suo supercomputer Watson, oggi il più intelligente del mondo. “Il digitale può sovvertire settori consolidatissimi”, sottolinea Farioli, “e i concorrenti possono arrivarci addosso da ogni parte. Nella nostra ultima survey tra capi azienda, il 66% degli intervistati riconoscono che il vero elemento rivoluzionario è la convergenza tra settori. Pensate ad esempio a un genere di oggetti ormai molto diffusi come i fit-bit, i bracciali per monitorare passi, frequenza cardiaca, consumo calorico: chi li produce rasenta il mondo dei prodotti per la salute, i cosiddetti o wearable devices…”.

La centralità dei dati
Quel che accomuna però tutti questi settori innovativi è l’aver dato centralità ai dati. “Per primi hanno saputo leggere e interpretare il valore del dato. Con i dati, la customizzazione: personalizzare l’offerta di prodotti e servizi. Reinventando così il modello di business. La vera sfida delle aziende è questa, trasformare il proprio business con i dati, usando i dati. Il dato è il nuovo petrolio della nostra economia ma come il petrolio va raffinato e processato. Una singola persona nella vita produce un tera di dati e solo sulla salute ne produce tanti da riempire 300 milioni di libri”.

L'Internet of things
Dai dati alla sensoristica, che quei dati in gran parte rileva: “E quindi l’Internet delle cose, che rileva i dati dagli oggetti, li incrocia, li fa dialogare, e rende possibile una coniugazione operativa tra gli oggetti e la Rete”, continua Cristina Farioli. “Un’innovazione rivoluzionaria ovunque. Anche nei settori cui la gente non pensa: l’agricoltura, ad esempio. Perché Ibm ha acquisito The Weather Company? Perché usando bene i dati meteo, l’agricoltura risparmia acqua ed energia”.

Il cognitive computing
Già: ma per “usare bene” i dati bisogna saperli – come il petrolio – analizzare e raffinare. Con i sistemi analitici: e qui si sconfina, ed era ora, nelle straordinarie potenzialità del cognitive computing, i computer che sono in grado di comprendere, ragionare, imparare: “Non dobbiamo difenderci dall’idea che la macchina sostituisca la mente umana”, spiega l’ingegnere Ibm, “la macchina la potenzia. Un esempio chiaro: Watson legge 1 milione di libri al secondo. Un medico legge al massimo 500 riviste scientifiche all’anno. È chiaro che Watson può presentare al medico una potentissima preselezione di contenuti adatti alla domanda terapeutica o semeiotica che gli viene posta potenziando di molte misure la sua capacità di risposta”.

Insomma, intelligenza pura applicabile a qualsiasi impiego: dai robot chirurghi alle macchine automatiche che producono qualsiasi manufatto, e il tutto fruibile in cloud, quindi senza doversi attrezzare con alcun genere di apparati ma semplicemente via web.

Semplicemente per modo di dire, perché siamo comunque di fronte alla più avanzata frontiera del digitale nel mondo. Ma proprio in quanto avanzata è modulabile: “Non crediate che Watson sia un grande blocco monolitico di hardware e software”, chiarisce Raffaele De Lucia, “al contrario noi ci teniamo molto a offrire piccoli test di funzionalità del sistema per farlo apprezzare e poi, quando i clienti ne comprendono le grandissime potenzialità, osano progettare in proporzione altrettanto grande”.

Dove si usa Watson
E dove si utilizza già, in concreto, sul mercato italiano, la grande potenza intelligente di Watson? “Il primo filone è quello dell’ingaggio: Watson offre la possibilità di avere agenti virtuali ovunque, immaginate un cliente che ha bisogno di informazioni immediate su un qualsiasi prodotto, fa una domanda in linguaggio naturale sul sito e riceve immediatamente la risposta che cerca…”.

Poi c’è il filone dell’automazione dei lavori intellettuali più ripetitivi: è chiaro che Watson può farli meglio e più in fretta. “Immaginate un un help desk: sono un lavoratore, non mi funziona il pc, il 90% dei possibili problemi è già noto all’azienda, la possibilità di formulare la domanda in linguaggio naturale incrementa enormente la fruibilità del servizio”.

E le applicazioni pratiche sono infinite. Per esempio il settore petrolifero sta utilizzando Watson per colmare il gap cognitivo ed esperienziale che c’è tra il personale di piattaforma, ormai soltanto molto giovane perché i “senior” non accettano più di recarvisi, e i vecchi esperti: dalla piattaforma utilizzando Watson i giovani ottengono in tempo reale le risposte che ignorano.

E ancora: una grandissima azienda specializzata nella riparazione dei cristalli per auto fa analizzare a Watson, col sistema della visual recognition, le foto dei parabrezza lesionati per stabilire se sono da sostituire o sono riparabili e smistare prima gli automobilisti ai diversi esiti. E poi ancora la selezione del personale, arricchita dalla lettura comparativa dei curricula e dei profili social dei candidati…
Insomma: possiamo brindare o preoccuparci, ma Watson e la sua “intelligenza aumentata” sono già tra noi. E allora, meglio approfittarne.

Adriano Marrocco, IVM Chemicals: "IoT, strumento essenziale"

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Alessandro Tosatto
Cristina Farioli, responsabile del business development di Ibm Italia

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Sergio Luciano