Nato in Afghanistan: le prossime mosse
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Nato in Afghanistan: le prossime mosse

Stop all’addestramento delle truppe locali e alle operazioni congiunte

I vertici politici e militari della NATO e le leadership occidentali hanno minimizzato per mesi la portata degli attacchi condotti da soldati e poliziotti di Kabul contro le truppe internazionali. Il comandante di Isaf, generale John Allen , dichiarò che solo un quarto dei casi di “green on blue” erano da attribuire ai talebani e i suoi portavoce ripetevano ogni giorni che queste perdite (51 morti in 37 attacchi da gennaio) non cambiavano la missione delle forze alleate. Concetto ribadito anche dal segretario alla Difesa, Leon Panetta. "Faremo di tutto per minimizzare questi rischi, ma non perderemo di vista la missione fondamentale per cui siamo laggiù” aveva assicurato la settimana scorsa mentre dalla Casa Bianca il portavoce Jay Carney aveva aggiunto che “la nostra missione in Afghanistan non cambia, continua''.

Nonostante ''le preoccupazioni'' per l'aumento degli attacchi alle truppe americane ''il presidente Obama crede sia necessario andare avanti col processo di transizione nei tempi previsti''. Un gruppo di senatori americani, tra cui John McCain, ha chiesto che di fronte all'intensificarsi delle violenze in Afghanistan la Casa Bianca fermi il ritiro graduale delle truppe, processo che dovrebbe chiudersi entro la fine del 2014. Ma nulla è più come prima in Afghanistan. Tre settimane or sono, le forze speciali americane hanno sospeso l’addestramento delle reclute della Local Police chiedendo una revisione dei profili di tutti gli agenti già arruolati. Tropi infiltrati talebani. Per lo stesso motivo molti paesi europei hanno fermato o rallentato l’addestramento delle truppe afghane che rappresenta uno dei due cardini militari della transizione, cioè del processo che dovrebbe consentire a Kabul di gestire con le sue forze il confronto con gli insorti consentendo il rimpatrio delle truppe alleate.

Benché il governo afghano abbia cacciato o incarcerato centinaia di soldati e poliziotti sospettati di essere talebani infiltrati la Nato ha interrotto anche le operazioni congiunte tra soldati afghani e alleati. “Shona ba shona” (spalla a spalla) come recita uno slogan del comando alleato oggi un po’ fuori moda. Dal 18 settembre la Nato ha infatti sospeso anche queste. Ufficialmente le ha solo ridotte vietando (a meno di ordini specifici dei comandi regionali) pattugliamenti e operazioni congiunte inferiori al livello battaglione, cioè circa 500 militari. Ciò significa azzerare le operazioni in un conflitto fatto di scaramucce e piccoli scontri, combattuto per lo più a livello di compagnia (100/150 militari) quando non di plotone (30/40 unità).

Sul piano concreto il divieto impedisce agli alleati di muoversi con le truppe afghane fornendo loro supporto di fuoco e soprattutto tecnologico grazie ai veicoli protetti, ai rilevatori di mine e bombe improvvisate, agli apparati radio collegati con i jet che intervengono a dare una mano nel caso frequente di imboscate talebane.

Di fatto i 90 mila militari alleati rimasti in Afghanistan (68 mila americani) cesseranno di combattere dal momento che la gran parte delle operazioni sono da mesi congiunte con le forze afghane. Queste ultime, prive di appoggi, saranno ancora meno motivate e avranno un motivo di rancore in più nei confronti delle truppe della Nato. Specie ora che la Casa Bianca ha scoperto le carte confermando che il ritiro non dipende dall’andamento delle operazioni e dalle condizioni di sicurezza come la Nato e Washington avevano sempre sottolineato. In realtà il ritiro delle truppe proseguirà indipendentemente dall’andamento della guerra, anzi, è già stato accelerato e anticipato per il grosso delle forze al 2013.

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Gianandrea Gaiani