Siria: sarà una guerra senza droni
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Siria: sarà una guerra senza droni

Protagonisti degli ultimi conflitti, restano nell’ombra nella guerra ad Assad. Lo speciale sulla guerra in Siria

In molti li davano per sicuri protagonisti del confronto militare tra Washington e Damasco, invece i droni sembrano scomparsi dagli arsenali predisposti per la guerra, forse imminente, a Bashar Assad. A impostare una riflessione sul ruolo marginale nel conflitto siriano dei velivoli teleguidati, ormai divenuti vere e proprie star mediatiche, è un articolo di Audrey Kurth Cronin su Foreign Affairs intitolato “Drones Over Damascus”

Dopo un ampio impiego su tutti i fronti della guerra al terrorismo, dall’Irak all’Afghanistan, dalla Somalia allo Yemen, dal Malì al Pakistan che ha influito sull’assetto delle forze armate statunitensi e sulla strategia della Casa Bianca, i droni sembrano oggi scomparsi o relegati a un ruolo secondario o addirittura marginale. L’articolo evidenzia il ruolo “preventivo” ricoperto dai droni nei conflitti recenti e basato sulla sorveglianza discreta delle postazioni nemiche e l’attacco altrettanto silenzioso e improvviso contro i gruppi terroristici con l’obiettivo di distruggerli prima che agiscano contro gli Stati Uniti e i loro alleati.

Contro la Siria i droni sono condannati però a restare in panchina o a giocare solo nel secondo tempo, quando e se le difese aeree del regime di Bashar Assad verranno distrutte.  Come è accaduto anche in Libia due anni or sono, sottolinea Foreign Affairs. I droni Predator statunitensi e italiani (questi ultimi disarmati) ebbero un ruolo nelle ultime fasi del conflitto e furono loro a individuare il convoglio di Gheddafi in fuga da Sirte ma finché le difese aeree del regime erano attive il loro impiego venne limitato per ridurre il rischio di perdite. 

La Siria dispone di difese aeree ben più fitte e moderne di quelle libiche, assistite da tecnici russi e in grado di scoprire, intercettare e disturbare con contromisure elettroniche non solo droni e aerei ma anche missili da crociera. I limite dei droni è rappresentato dalla loro bassa velocità che li rende utilissimi in contesti nei quali gli statunitensi hanno il controllo dei cieli o dove comunque i loro avversari non hanno capacità aeree o antiaeree mentre in contesti convenzionali il loro impiego è limitato dalla vulnerabilità e dalle basse prestazioni.

I droni “sono utili solo quando gli Stati Uniti hanno libero accesso allo spazio aereo , un target ben definito e un obiettivo chiaro. In Siria, gli Stati Uniti non hanno nessuno dei tre” scrive Audrey Kurth Cronin non senza qualche ragione considerando la confusione che sembra regnare presso l’Amministrazione Obama circa motivazioni e obiettivi dell’intervento militare.

Improbabile quindi, almeno per ora, che i Reaper diano la caccia a Bassar Assad setacciando con le loro telecamere le strade di Damasco pronti a lanciare missili Hellfire o bombe a guida satellitare JDam. Difficile anche che i droni o altri velivoli convenzionali prendano di mira i depositi di armi chimiche siriani pere evitare il rischio di disperdere gas nell’aria e provocare stragi.
Le riflessioni di Foreign Affairs concernono più la percezione dei droni presso l’immaginario collettivo che la dottrina militare in base alla quale vengono impiegati questi mezzi. I militari sono i primi a essere consci dei limiti degli attuali velivoli teleguidati e non a caso gli Stati Uniti hanno ormai i fase avanzata di sviluppo droni concepiti per il combattimento (UCAV – Unmanned Combat Aerial Veichle ) persino imbarcabili su portaerei, più veloci e dotati di caratteristiche “stealth” per renderli meno visibili ai radar.

Se gli Stati Uniti e i loro alleati distruggessero le difese aeree di Damasco i droni potrebbero trovare un nuovo campo di battaglia in Siria anche se le reticenze di Washington a impiegare questi mezzi  sono giustificate dal rischio che vengano abbattuti, specie dopo che gli iraniani sono riusciti nel 2011 a disturbare il sistema di guida e far cadere  il segretissimo RQ 170 Sentinel drone “stealth” utilizzato per spiare i siti atomici di Teheran ora, a quanto sembra, copiato dai cinesi.
In realtà i droni da ricognizione strategica Global Hawk, basati a Sigonella e probabilmente nella base britannica di Akrotiri (a Cipro) pare vengano impiegati sui cieli siriani proprio per sorvegliare da alta quota i depositi di armi chimiche di Assad anche se le capacità della difesa aerea di Damasco avrebbero indotto spesso a preferire i ricognitori strategici U-2 , protagonisti della Guerra fredda ma ancora in servizio ella versione più aggiornata e sofisticata, meglio equipaggiati di sistemi elettronici di disturbo e contromisure rispetto i droni.

Se in conflitti asimmetrici contro milizie e forze irregolari i droni possono esprimere al meglio le loro capacità facendo risparmiare denaro e vite umane rispetto all’impiego di aerei pilotati e truppe a terra, in una guerra tra forze armate convenzionali i tradizionali armamenti tornano ad essere protagonisti.  Spesso i media creano aloni di leggenda che presentano un sistema d’arma come perfetto o disastroso. Ma non esistono armi perfette, solo armi adatte o anche perfettamente idonee a quel contesto ma che sarebbero del tutto fuori ruolo in situazioni belliche o di impiego diverse.
Il rischio che spesso si corre è di attribuire alle armi il ruolo strategico che compete invece ai vertici politico-militari, cioè a chi decide il ricorso alle armi. “In un ambiente politicamente complesso, in cui gli Stati Uniti non sono in guerra e gli obiettivi non sono chiari, i droni armati non sono poi così utili” conclude l’articolo di Foreign Affairs.  Il problema però è che non esistono sistemi d’arma, teleguidati o pilotati, in grado di compensare l’assenza di un piano, di un obiettivo. Se la Casa Bianca non sa cosa vuole dalla guerra ad Assad la colpa non è certo dei droni.

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Gianandrea Gaiani