Voleva salvare chi l'ha ucciso
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Voleva salvare chi l'ha ucciso

Un amico di don Ruvoletto: "Il suo motto era stare in mezzo alle persone. E con il suo calore conquistava perfino i delinquenti"

Non c'è rabbia. Persino le lacrime si sono quasi asciugate. Dentro gli occhi buoni di Angelo Zambon, amico fraterno di don Ruggero Ruvoletto, c'è la serenità di chi non teme la morte. "Prima che diventasse missionario, lui ha invidiato me per il mio periodo avventuroso in Ecuador. Oggi sono io a invidiare lui: cosa può donare un uomo, alla causa in cui crede, più della vita?".

Don Ruggero alla causa degli ultimi, dalla periferia brasiliana ai bordi dell'Amazzonia, ha dedicato l'anima. E il corpo. "Il suo motto era 'ci siamo'. Lui voleva esserci sempre: nelle persone e tra le persone. Era imbattibile nell'entrare in contatto con gli altri" racconta Angelo, oggi animatore laico presso il centro missionario di Padova, dopo 18 anni nella regione ecuadoriana dell'Esmeralda.

Una volta lui aveva chiesto a don Ruggero di come si possa portare nel mondo il messaggio cristiano senza passare per prevaricatori: "Gesù lo dobbiamo prima incarnare, poi predicare" gli aveva detto. Per questo si circondava volentieri di laici. "Ci invitava a fare famiglia. Diceva che per essere credibili dovevamo far vedere che non siamo degli extraterrestri".

Il compito della sua di famiglia era quello di mostrare che esistono anche gocce di acqua pulita in questo mondo: "Ci convinceva" prosegue Angelo "che se goccia si unisce a goccia, magari, un giorno, può venire fuori un oceano". Ecco perché per don Ruggero ogni goccia valeva tanto. Qualche anno fa al suo amico laico aveva regalato un piccolo Vangelo in portoghese.

Ad accompagnare il dono, un consiglio: "Prima di leggerlo, se sei solo, guarda sempre un po' di fotografie. Riempiti gli occhi di volti, vedrai che dopo sarà diverso". C'erano sempre le persone, le loro facce, i loro cuori, nel mondo di don Ruggero. "Quando parlava della sua missione a Manaus non citava mai le opere realizzate, piuttosto elencava tutti i nomi di ognuno dei suoi nuovi amici". Giovani cui aveva fatto del bene, probabilmente non diversi da quelli che lo hanno ammazzato per portargli via 15 euro dalla cassaforte: "Sono sicurissimo che li ha subito perdonati. Quei ragazzi non c'entrano: sono le vittime della periferia del mondo" prosegue Angelo. "Se ci fosse ancora, don Ruggero non farebbe pace solo con i ladruncoli che l'hanno ucciso, andrebbe da chi li sfrutta. Con il suo calore riuscirebbe a farsi amici persino quei delinquenti". Non aveva mai paura don Ruggero.

"Sono certo che non l'ha avuta nemmeno quando l'hanno ammazzato" dice, abbassando per un solo momento lo sguardo. "Con tutti quei volti, quelle storie e quei cuori vicini al suo, non era solo e non hai mai temuto la morte: per questo so che se ne è andato in pace".

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Lucia Scajola

Nata e cresciuta a Imperia, formata tra Milano, Parigi e Londra, lavoro a Panorama dal 2004, dove ho scritto di cronaca, politica e costume, prima di passare al desk. Oggi sono caposervizio della sezione Link del settimanale. Secchiona, curiosa e riservata, sono sempre stata attratta dai retroscena: amo togliere le maschere alle persone e alle cose.

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