Le vittime della jihad globale
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Le vittime della jihad globale

Solo nel mese di novembre gli attacchi di gruppi jihadisti hanno provocato più di 5mila morti. Il Paese più colpito è l’Iraq

Per Lookout news

Sono state più di 5mila le vittime di attacchi jihadisti in tutto il mondo nel solo mese di novembre. Il dato emerge da un’indagine realizzata dalla BBC e dall’International Centre for the Study of Radicalisation (ICSR) del King College di Londra. Nel mirino della furia jihadista sono finiti soprattutto civili, mentre il gruppo più sanguinario è stato lo Stato Islamico del Califfo Al Baghdadi, che tra l’Iraq e la Siria ha effettuato il maggior numero di attacchi uccidendo 2.206 persone, il 44% del totale.

 Gli altri epicentri della violenza jihadista sono stati principalmente la Nigeria, dove è operativo il gruppo islamista Boko Haram, e l’Afghanistan, feudo dei talebani dove la situazione potrebbe ulteriormente peggiorare nel 2015 con il graduale ridimensionamento della missione NATO.

I numeri
Nel mese di novembre le vittime nel complesso sono state 5.042. I 664 attacchi censiti si sono verificati in 14 Paesi e il loro bilancio giornaliero è di 168 morti, uno ogni sette ore. L’80% dei decessi si registra in Iraq, Nigeria, Siria e Afghanistan.

In Iraq, dove a giugno è iniziata l’avanzata dei miliziani del Califfo Al Baghdadi, i morti sono stati 1.770 e gli attacchi 223. Il livello di allerta resta altissimo, come detto, anche in Nigeria. Qui e al confine con il Camerun gli islamisti di Boko Haram hanno condotto 27 offensive e ucciso 786 persone, quasi tutti civili. I guerriglieri agli ordini del leader Abubaker Shekau hanno effettuato per lo più attacchi con autobomba, sparatorie, assalti e razzie nei villaggi cristiani. Il più eclatante è avvenuto nella più grande moschea della città settentrionale di Kano, dove i morti sono stati 120.

In Africa le condizioni di sicurezza sono al limite anche in Somalia e Kenya, dove gli islamisti di Al Shabab guidati da Ahmed Umar, conosciuto anche come Abu Ubaidah, hanno assassinato 266 persone.

Tornato sotto i riflettori dei media internazionali in prossimità del termine della prima fase della missione internazionale ISAF prevista per la fine di dicembre, a novembre l’Afghanistan ha pagato un prezzo carissimo in termini di vite umane. I morti sono stati 782. I talebani hanno effettuato attacchi mirati contro istituzioni governative, sedi di ambasciate e di società estere, stazioni di polizia.

In Siria, teatro di una guerra civile che va avanti da ormai più di tre anni, l’elevato numero di vittime non sorprende oltremodo (693). Mentre in prospettiva va tenuta in debita considerazione l’escalation di violenze in Yemen (410 morti in 37 attacchi), dove gli scontri interetnici tra i ribelli sciiti Houthi e i sunniti e le spinte separatiste del Sud hanno creato le condizioni ideali per le nuove offensive di AQAP (Al Qaeda nella Penisola Araba).

 

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Le vittime
I civili morti sono stati 2.079, mentre i militari 1.723. Le cifre variano sensibilmente tra un paese e l’altro. In Nigeria, come detto, le vittime sono state quasi tutte civili (tra cui almeno 57 bambini). Al contrario, in Siria e Afghanistan, a cadere sono stati principalmente soldati. Nell’elenco rientrano anche agenti di polizia (146, 95 dei quali in Afghanistan), politici e funzionari governativi (22 tra Afghanistan e Somalia). Sono stati invece 935 i miliziani jihadisti uccisi.

Le tecniche d’attacco
Nel complesso il maggior numero di decessi è stato provocato dall’esplosione di bombe. Sono state 1.653 le persone morte in 241 esplosioni. Nel computo rientrano anche attacchi kamikaze (38, 650 morti) e l’utilizzo di ordigni artigianali (IED, improvised explosive device, 555 morti). Alcune esplosioni hanno colpito centri affollati (in Nigeria principalmente), altre erano più mirate (come gli attacchi contro il quartier generale della polizia a Kabul da parte dei talebani). I bombardamenti hanno causato 1.574 vittime, mentre 666 persone sono cadute in sparatorie e imboscate.

 Peter Neumann, direttore dell’ICSR, nel valutare i risultati dell’indagine ha spiegato che il modo di agire degli jihadisti di oggi è cambiato diametralmente rispetto al terrorismo ‘classico’. In quest’ottica va sottolineata la generale diminuzione di sparatorie, imboscate e offensive frontali contro eserciti regolari, in favore di azioni difficilmente prevedibili e dal maggior impatto mediatico, in cui si sono dimostrati dei precursori i guerriglieri dello Stato Islamico con le tristemente famose esecuzioni di ostaggi occidentali trasmesse in mondovisione. I prigionieri giustiziati sono stati in totale 426, di cui 50 tra la Siria, lo Yemen e la Libia.

 Inoltre, più del 60% dei decessi è da ricondurre a gruppi jihadisti che non hanno alcun rapporto formale con Al Qaeda. Nonostante gruppi filoqaedisti come Jabhat Al Nusra in Siria e AQAP in Yemen rivestano tutt’ora un ruolo fondamentale, l’indagine dimostra che nella corsa alla leadership del jihadismo globale lo Stato Islamico ha scavalcato Al Qaeda.

 

 

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Rocco Bellantone