Venezuela, per le strade ancora sangue e morti
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Venezuela, per le strade ancora sangue e morti

La testimonianza di Ronnie Eduardo Vergara, che vive da giorni dietro le barricate e combatte il regime di Nicolas Maduro: "Il governo, che dovrebbe sedare la violenza, si inchina ai gruppi armati e favorisce saccheggi e distruzione"

Si chiamava Daniel Tinoco, aveva 24 anni ed era uno studente, anzi, era un brillante studente. E' morto ieri a San Cristobal, capitale dello Stato di Tachira in Venezuela. Era per strada e continuava a protestare con centinaia di altri studenti contro il governo del presidente Nicolas Maduro. Un colpo secco in pieno petto l'ha stroncato. Secondo testimoni oculari, Daniel è stato attaccato da un gruppo di uomini armati a bordo di motociclette. La sua morte porta a 26 il tragico bollettino delle vittime delle proteste in Venezuela, esplose il 12 febbraio scorso proprio a San Cristobal.

Ma il mondo ha occhi solo per l'Ucraina e la Crimea. Così, Nicolas Maduro, il presidente che ha sostituito Hugo Chavez dopo la sua scomparsa sulla base di elezioni che in molti hanno definito "palesemente truccate", può fare tutto quel che vuole, senza essere disturbato. L'OEA (Organizzazione degli Stati Americani ) ha deciso di non muovere un passo contro di lui. Troppo stretti i legami con i chavisti prima e con i madurristi poi, e inoltre, il Venezuela contribuisce fortemente alle economie dei Paesi "fratelli" dell'OEA grazie ai proventi del petrolio. Ergo, chi gli si mette contro rischia di vedersi chiudere il rubinetto dell'oro nero.

Nonostante il silenzio della comunità internazionale, però, le manifestazioni e le proteste contro Maduro in Venezuela continuano ad andare in scena giorno e notte e ormai non sono solo i ragazzi a protestare, ma anche impiegati pubblici e gente comune. Le strade delle principali città del Paese sono dei campi da guerra, con macchine date alle fiamme e barricate dietro le quali gli studenti (ma non solo loro) si proteggono dagli attacchi delle forze dell'ordine, coadiuvate dai feroci Tupamaros , criminali incappucciati che fanno il lavoro sporco e sparano senza pensarci su due volte, tanto sanno che nessuno per questo li punirà.

Così dichiara a Panorama.it Ronnie Eduardo Vergara, un cileno che da 36 anni si trova in Venezuela e che dal 17 febbraio scorso vive per strada, dietro una barricata: "Oggi viviamo in un paese dove chi deve sedare con giustizia ed equità la violenza, il governo, si inchina ai gruppi armati e li favorisce nei loro saccheggi e nella distruzione, con lo scopo di intimidire chi è in piazza".

Ronnie racconta scene da brivido. Gruppi di "60-80 uomini armati, che arrivano a bordo di motociclette e affiancano le forze dell'ordine, distruggendo tutto ciò che trovano e dando alle fiamme le automobili parcheggiate per strada". E poi "Battaglie che vanno avanti per ore e ore, di notte e di giorno, con lanci di pietre e colpi di fucile". Feriti per strada, necessità di sangue negli ospedali, appartamenti distrutti qualora chi ci vive abbia "osato" aiutare i ragazzi dietro le barricate portando loro qualcosa da bere o da mangiare. E' la follia che sta andando in scena in Venezuela. E' un grido sordo, un lamento muto che il mondo non ha orecchie per ascoltare.

"Credo - prosegue Ronnie - che un cittadino abbia il diritto, se non il dovere, di opporsi non solo a questo governo, ma a qualsiasi amministrazione che non sia in grado di garantire una qualità di vita migliore. Vorrei ringraziare tutti coloro che si preoccupano per noi, che ci danno da mangiare e da bere e che ci curano quando siamo feriti. Vorrei ringraziare anche tutti coloro che ci stanno aiutando a proteggere le nostre proprietà durante questo assedio e spero che Dio li premi con l'abbondanza e la libertà che questo Paese merita". "Il Venezuela - conclude il ragazzo che vive dietro le barricate - è uno dei Paesi più ricchi del mondo e lo stanno disintegrando per seguire interessi meschini, che mirano a mantenere il popolo nella povertà, affinché i cittadini siano tutti sottomessi al potere".

Ma non muiono solo venezuelani. Qualche giorno fa una donna cilena, Giselle Rubilar (47anni), è stata freddata da un colpo in pieno volto mentre cercava di trovare riparo dietro una barricata nella città di Merida. Il presidente Maduro ha immediatamente dichiarato che si è trattato di un omicidio legato a un "gruppo fascista", ma i testimoni oculari raccontano tutt'altro. Intanto, il capo di Palacio Miraflores ha evitato di volare a Santiago del Cile per l'insediamento di Michelle Bachelet come nuovo presidente del Paese. Anche perché alla cerimonia è presente il segretario di Stato Usa, John Kerry, che ha annunciato di voler parlare con i ministri rappresentati di Cile, Colombia, Perù e Messico, un blocco di Paesi che non sono annoverabili tra gli "amici" di Maduro, Colombia in testa.

La Casa Bianca ha espresso la sua "preoccupazione" per quanto sta accadendo in Venezuela, ma per ora i pensieri di Barack Obama sono tutti concentrati sulla crisi ucraina e sul referendum che si terrà in Crimea domenica prossima. Intanto, però, secondo El Nacional il Foro penale venezuelano venerdì scorso ha reso pubblica una denuncia nella quale c'è scritto nero su bianco che in 40 casi di arresto (su 42 accertati solo nell'ultima settimana) i manifestanti sono stati sottoposti a torture.

"Non tutti i casi riguardano giovani a cui sono stati inflitte torture per estorcere una confessione, però la maggioranza dei ragazzi sono stati sottoposti a percosse e ferite per punirli o intimidirli. Anche questo è tortura", si legge nel dossier del Foro penale venezuelano, che prosegue: "Un giovane è stato costretto a restare in ginocchio per ore mentre diversi uomini lo colpivano, in modo tale da fargli del male e farlo desistere dal continuare a manifestare".

Ma, evidentemente, nemmeno la paura delle torture riesce a far desistere i ragazzi venezuelani, che chiedono la fine del regime di Nicolas Maduro e un Paese che possa incamminarsi sulla strada della democrazia. Tanto che a Palaima e a Maracaibo stanno scendendo in piazza anche i più "piccoli", gli studenti di licei e scuole superiori. Così come i ragazzi maggiorenni, anche loro parlano attraverso i social network e twitter e denunciano l'aggressione delle forze dell'ordine e dei Tupamaros, ma dichiarano anche di non voler cedere e di voler continuare a riempire le piazze.

Il Paese è nel caos e la censura impedisce a coloro che non hanno accesso a internet di essere informati su quello che sta succedendo. Così, dalle reti televisive in mano a Maduro si propongono discorsi paternalistici del presidente, che promette di punire chi si macchia di crimini e omicidi, quando i criminali sono mandati da Palacio Miraflores. Laddove ci sono le barricate per strada, tutto il quartiere è coinvolto in una guerriglia urbana. Uno stato di guerra permanente che avvolge l'intero Paese e che non accenna a fermarsi.

Non finché i motociclisti incappucciati continueranno a scorrazzare impunemente mietendo le loro vittime. Non finché il presidente Nicolas Maduro non farà un passo indietro. Non finché la comunità internazionale non si deciderà a intervenire per provare a trovare una via di pacificazione. Per allora, quanti altri morti ancora si dovranno contare lungo le strade del Venezuela? Qualsiasi numero sarà sempre troppo alto.

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Anna Mazzone