Veneto: Pd e Lega unite contro gli immigrati
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Veneto: Pd e Lega unite contro gli immigrati

La lotta tra sindaci e prefetti, il malessere delle città. Viaggio in Veneto dove gli immigrati vengono ospitati al Lido di Venezia

 

Non li vogliono accogliere i sindaci di destra e non li vogliono accogliere i sindaci di sinistra. «Questo non è il paese di Bengodi dove un immigrato può venire a mangiare a sbafo» dice Achille Variati che è del Pd ed è sindaco di Vicenza.

In Veneto il Pd di Variati e la Lega del sindaco di Verona, Flavio Tosi, sono per la prima volta unite, un asse strampalato, un’ammucchiata di lotta. In tutta la regione non ci sono più alloggi per ospitare i richiedenti asilo, nella provincia di Verona sono rimasti solo tre posti letto e a Treviso 95 sindaci hanno già fatto sapere che non sono pronti a riceverne ancora «perché è il momento di finirla con l’autoritarismo savoiardo del governo» risponde infuriato Marzio Favero, sindaco di Montebelluna. «E invece credo che anche questa volta il Veneto riuscirà ad accogliere gli immigrati. Abbiamo fatto un grande lavoro e continuiamo a farlo, infine confido nella provvidenza…» ritiene il prefetto di Verona, Perla Stancari, una donna risoluta ma che ordina a bassa voce e con una dose di carezze.

Sono 2543 i migranti finora arrivati ma ne dovrebbero essere assegnati al solo Veneto 3742 e si sta raschiando il fondo come racconta a Vicenza il viceprefetto, Antonio Marchesiello, napoletano che evidentemente deve aver per geografia i geni della pazienza. Qui la resistenza civile contro l’immigrazione incontrollata non è più una campagna della Lega, che in questa terra è votata e credibile perché ben amministra, ma è il malessere del sindaco democratico Antonio Manildo, un giovane che ha militato nell’associazionismo. È lo scontento di Variati, un renziano, «anzi, renzianissimo, ma il governo sta gestendo l’emergenza come farebbe un bambino da scuola elementare». Variati oggi non accetta ma comprende perfino le posizioni del sindaco leghista Massimo Bitonci che sogna Padova ripulita dall’islam.

E ci sono i comuni di Oderzo, Mogliano Veneto, Vittorio Veneto, tutti municipi di centrosinistra che si oppongono ai trasferimenti che avvengono per disposizione prefettizia, addirittura con la minaccia di sanzioni come ha fatto sapere il prefetto di Venezia, Domenico Cuttaia.

Nel Veneto si sta esaurendo la solidarietà. E però, non è intolleranza ma semmai solo l’ostilità del veneto efficiente che squadra il mondo e che detesta l’inoperosità

Nel Veneto si sta esaurendo la solidarietà. E però, non è intolleranza ma semmai solo l’ostilità del veneto efficiente che squadra il mondo e che detesta l’inoperosità pensa la signora Spiller, proprietaria dell’hotel Adele di Vicenza, che ospita novanta migranti e che grazie a loro è riuscita a salvare il lavoro di 30 dipendenti: «I veneti non sono razzisti, ma non sopportano l’idea di vedere questi ragazzi stare fermi e chiusi in un albergo». Anche la signora Spiller vorrebbe vederli lavorare «ma non è possibile se prima la commissione territoriale non decide sul diritto d’asilo di ciascuno». E infatti è vero che in Veneto oggi sono stati accolti e soggiornano 2513 migranti, ma in un anno ne sono passati ben 6767, in pratica 4254 anime che si sono disperse prima ancora che una commissione decidesse se fossero perseguitate o semplici clandestini.

C’è voluta la minaccia e la macelleria dell’Isis perché il capo della polizia varasse una disposizione nel giugno di quest’anno e imponesse la foto segnalazione immediata in questura che prima veniva effettuata a distanza di giorni, quanto bastava, racconta un funzionario della polizia, a farli fuggire nel nord Europa dopo averli fatti dormire una notte in Italia. A Verona, Antonio Maiorino, volontario all’ostello della gioventù di Villa Francescati, un incanto di edificio ricavato da un palazzo nobiliare degli anni ’30 e ristrutturato da 5000 scout di tutto il mondo, ne ha già visti partire 108 «quasi tutti siriani, e adesso ne sono rimasti 63». Ma ci sono anche i «dublinati» quei migranti che richiedono asilo in Italia e che stanchi di attendere l’esito fuggono. «Secondo il trattato di Dublino è il paese in cui sbarcano che deve pronunciarsi sull’asilo. Molti paesi li rispediscono indietro. Nelle scorse settimane 4 di loro sono stati espulsi dalla Svezia» rivela il viceprefetto Marchesiello. Non è fuggito Omar, una pulce di ragazzo, eritreo, che in Veneto ha trovato un ruolo, anzi una maglia «gioco nei juniores del Vicenza» dice in un italiano sufficiente ma con un sorriso più che brillante. Finora a tenere alto il blasone del Veneto solidale sono state le associazioni di volontariato, Caritas su tutte, ordini religiosi.

«Dio solo sa come troviamo posto. Qui a Treviso nessun albergatore ha accettato di accoglierli nonostante lo Stato assicuri 34,89 al giorno per migrante» dice la dirigente Paola De Palma della prefettura di Treviso che a tarda sera ancora si esercita con l’aritmetica, tutta sola nel palazzo già vuoto e pieno di silenzio. È vero che la prefettura di Treviso ha dato ordine di farli disperdere? «Con disperdersi intendevamo dislocare in più strutture» dice sempre la dirigente De Palma che da toscana è abituata a tagliare corto anche quando c’è da tirare lungo con le polemiche. E dunque palesa in maniera limpida quello che pensa: «Le dico che capisco la paura dei veneti ed è per questo che preferisco vedere accolti questi poveri diavoli che vederli scappare dopo una notte».

A Vicenza gli albergatori che hanno deciso di aprire ai migranti, pochissimi, vengono minacciati al telefono, a Venezia i soliti cretini incappucciati tempestano di telefonate l’Istituto Morosini che è uno stabilimento balneare del lido dalla struggente serenità destinato in estate ai piccoli con handicap. «Ci chiedono di venire a soggiornare gratuitamente, anzi a farsi le vacanze, come ha suggerito il leader della Lega, Matteo Salvini» dice la presidentessa Anna Miraglia. E neppure finisce di dirlo che fuori dal Morosini, Forza Nuova inscena un happening al grido «aprite, vogliamo venire anche noi». Sono 20 energumeni guidati dal segretario nazionale Roberto Fiore, innocui e sfaccendati come i borghesi spiritosi di Mario Monicelli. Da quando è iniziata l’emergenza, nove mesi, c’è un’unica commissione, quella di Gorizia, che deve esaminare le richieste di asilo sia del Friuli che del Veneto oltre quelle dei frontalieri che vengono dalla terraferma, soprattutto Afghanistan, tutta una schiuma che bussa come l’uomo di Kafka bussava alle porte della legge. Gorizia non ce la fa. Le richieste d’asilo sono ferme da mesi. «Manca un coordinamento, così non ha senso fare ciondolare questi migranti, mi bolle il sangue» si difende Manildo che ride quando viene affiancato a Bitonci. Senza saperlo Manildo utilizza gli stessi simboli dei sindaci di destra. A Treviso, Manildo dice: «Ogni recipiente si può riempire fino a quando è colmo». A Verona, Flavio Tosi lo precisa: «E’ come avere un tubo rotto e noi mettiamo secchi facendo finta di non sapere che è il tubo che va aggiustato» . A Padova, Massimo Bitonci sembra quasi il più moderato di tutti, forse perché ha sempre mantenuto la sua posizione: «Nessuna forma di collaborazione con i prefetti. Sono preoccupato per l’ordine pubblico. E poi lo dico anche a difesa degli immigrati, le carrette su cui viaggiano sono tombe che galleggiano».

Tutti in Veneto pensano che in realtà il cuore dei sindaci si stia rimpicciolendo non per paura delle emigrazioni, ma per paura di perdere le elezioni. Lo crede anche l’avvocato Angelo D’Elia, nobile decaduto, «sono un barone del regno delle due Sicilie», che abita al Lido di Venezia e che detesta gli schieramenti sicuro «che sia destra che sinistra hanno paura di perdere le regionali. La finiscano, i posti ci sono». Il prefetto Stancari che è una donna imperiosa ma con una riserva illimitata di grazia materna ha sempre trovato gli alloggi senza usare la forza della funzione ma attingendo alla generosità dei veronesi che portano il tè la mattina ai senzatetto e che di notte addirittura fanno la ronda della carità che è un geniale matrimonio di parole in apparenza opposte. Non è vero che nel Veneto la microcriminalità sia aumentata dall’arrivo dei migranti, e lo dicono le statistiche nonostante non convincano Variati che di suo si porta il peso dell’amministrare: «Un sindaco prende decisioni difficili, oggi ho staccato la corrente elettrica in un campo rom perché non pagavano la luce. Con questo sistema non si accolgono i profughi ma si spingono alla clandestinità, anzi si fabbricano clandestini» argomenta. Nessuno può dire cosa sia questo transitare ma di certo è grazie a questo moto se a Verona, a Villa Francescati, lavorano 6 persone tra mediatrice culturale e inservienti, tutti assunti in seguito al trasferimento dei migranti, o ancora se la signora Spiller paga «17,50 ogni ora alla professoressa di italiano che ha il compito di alfabetizzarli 3 volte a settimana».

E però dite se i sindaci non abbiano ragione. I prefetti da nove mesi chiedono l’istituzione di una commissione a Verona che analizzi le richieste d’asilo, forti dell’esperienza del 2011 quando in dieci giorni il prefetto Stancari risucì a istituirne una. Fu un piccolo modello da esportazione: 1406 richiedenti asilo esaminati in sette mesi, 149 sedute, e tutto realizzato senza chiedere un solo funzionario in aggiunta. Dal 1 marzo finalmente dovrebbe operare questa nuova commissione, da mesi c’è perfino il presidente designato, la dottoressa Adriana Sabato, ma proprio non si comprende la lentezza che ne ha impedito l’avvio. Il ministro degli Interni, Angelino Alfano, dovrebbe sapere che assegnare rapidamente lo status è meno oneroso per lo Stato rispetto al ricovero delle speranze, alla villeggiatura dell’affamato di vita.

Si spingono fino al casinò e poi ancora avanti, fino al palazzo del cinema dove tra un paio di mesi lotteranno come polli i paparazzi e sarà tutto moda e celluloide. A chi quest’anno il leone d’oro? Adesso, a Venezia, a calpestare il red carpet ci sono gli spiantati della terra.

Venga infatti chiunque a Venezia, venga qui al Lido chi ha voglia di vedere questo strano fenomeno. Quando la nebbia non si poggia sulle briccole e sui pontili è possibile vederli. Escono dall’istituto Morosini, oltrepassano il cancello circondato da piante di alloro e sbucano per una strada stretta che porta a Malamocco. I migranti passeggiano senza scopo avanti e indietro dallo stabilimento Morosini fino all’hotel des Bains dove Luchino Visconti venne a girare “La Morte a Venezia”. Si spingono fino al casinò e poi ancora avanti, fino al palazzo del cinema dove tra un paio di mesi lotteranno come polli i paparazzi e sarà tutto moda e celluloide. A chi quest’anno il leone d’oro? Adesso, a Venezia, a calpestare il red carpet ci sono gli spiantati della terra.

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Carmelo Caruso