Papa Francesco chiude i conti con il Concilio Trento
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Papa Francesco chiude i conti con il Concilio Trento

«Amoris laetitia» rovescia il rapporto tra norma e prassi, tra magistero e pastorale. E si ispira a san Tommaso.

Aperturisti e rigoristi troveranno, ciascuno per la sua parte, argomenti per portare acqua al mulino delle proprie tesi. D’altronde è normale che sia così con un documento di 264 pagine come l’esortazione apostolica «Amoris Laetitia» di Papa Francesco. È forse risiede anche in questo l’astuzia gesuitica di Bergoglio: offrire spunti per alimentare un dibattito che nei prossimi mesi si nutrirà certamente di confronti e di scontri destinati a tenere desta l’attenzione su un tema che il pontefice vuole assolutamente porre al centro: la famiglia, dal cui destino dipende anche il futuro della Chiesa. Ma la novità del documento non è tanto nelle note 336 o 351 sulla possibilità di accesso dei divorziati risposati o dei conviventi ai sacramenti, che in alcune Chiese, come quella tedesca, già vengono sventolate come una bandiera. E neppure nell’affermazione della bellezza e della gioia del sesso, già ribadita più volte dallo stesso san Giovanni Paolo II. Quanto piuttosto nel rovesciamento del rapporto tra norma e prassi, tra magistero e pastorale.

Norme generali e casi particolari
Il Papa lo spiega così: «Le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari». Pertanto «un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari” come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone». Affermazioni che chiudono i conti con cinque secoli di storia della Chiesa. A partire dal Concilio di Trento che Bergoglio consegna definitivamente agli archivi. Durato 18 anni, dal 1545 al 1563, e ben 25 sessioni che hanno attraversato tre pontificati (Paolo III, Giulio III e Paolo IV), il Concilio di Trento fu il Concilio della “riforma della Chiesa cattolica” come risposta alla “riforma della Chiesa protestante”. Al centro pose la norma e la dottrina, il valore dei sacramenti e le regole liturgiche. La XXIV sessione, la penultima, sancì il valore dell’indissolubilità del matrimonio e definì le norme per la sua eventuale dichiarazione di nullità.

Sulle orme di san Tommaso
Ci sono voluti cinque secoli e altri due Concili (Vaticano I e Vaticano II) per giungere al traguardo indicato da Papa Francesco: l’ago della bilancia tra norma magisteriale e prassi pastorale d’ora in poi penderà sulla seconda, senza naturalmente negare la prima. La dottrina resta, ma la Chiesa, «esperta in umanità», come affermava Paolo VI, si rivolge al mondo con la sapienza della pastorale più che con la sottigliezza della dottrina. Nel matrimonio, per esempio, la fede dei coniugi, e dunque l’elemento soggettivo, viene ad assumere un ruolo centrale rispetto al dato oggettivo, sacramentale e contrattuale.
In sostanza si riscopre e si riattualizza ciò che scriveva san Tommaso d’Aquino nella Summa teologica, otto secoli fa: «Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione. […] In campo pratico non è uguale per tutti la verità o norma pratica rispetto al particolare, ma soltanto rispetto a ciò che è generale; e anche presso quelli che accettano nei casi particolari una stessa norma pratica, questa non è ugualmente conosciuta da tutti. […] E tanto più aumenta l’indeterminazione quanto più si scende nel particolare».

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Ignazio Ingrao

Giornalista e vaticanista di Panorama, sono stato caporedattore dell’agenzia stampa Sir e diretto il bimestrale Coscienza. Sono conduttore e autore della trasmissione A Sua Immagine su RaiUno

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