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Una seconda chance per i detenuti: a che punto siamo

I risultati dell'istituto giuridico che permette di estinguere un reato senza senza che l'autore debba trascorrere un solo giorno di carcere

Tecnicamente si chiama "messa alla prova", ma più prosaicamente viene definita anche "seconda possibilità" o "seconda chanche": è l’istituto giuridico che sospende un procedimento penale per cercare una strada alternativa di pena e la riabilitazione dell’imputato.

Inizialmente, è stata applicata ai soli minorenni in base un decreto del 1988, poi dall’aprile 2014 ne è stato allargato il campo d’applicazione anche ai maggiorenni. È come se, di fronte a un reato, lo Stato proponesse a chi è finito sotto accusa di stringere un patto: la giustizia sospende il procedimento penale, già nella fase delle indagini preliminari, e stabilisce un percorso di recupero che l’imputato s’impegna a seguire correttamente.

Attività "sociali" in cinque campi

Il "messo alla prova" deve svolgere mansioni gratuite in cinque campi: 1) sociali e socio-sanitarie (aiutare associazioni che cercano di disintossicare da alcool e tossicodipendenze, oppure che assistono anziani, diversamente abili, stranieri, malati, minori); 2) protezione civile (soccorso alle popolazioni, anche in caso di calamità); 3) patrimonio ambientale (prevenzione degli incendi, salvaguardia del patrimonio forestale, protezione di flora e fauna); 4) patrimonio culturale e archivistico (la custodia di biblioteche, musei, gallerie, pinacoteche); 5) immobili e servizi pubblici (lavoro in ospedali, case di cura, beni demaniali e patrimonio pubblico, giardini, ville e parchi).


Se l’accusato riesce ad arrivare alla fine del percorso concordato con la giustizia ottenendo valutazioni pienamente positive da parte delle strutture cui è stato affidato, e ovviamente anche quella dei giudici di sorveglianza, a quel punto lo Stato chiude il processo senza pena e “dimentica” il reato.

La “seconda possibilità”, in realtà, funziona. L’istituto della sospensione del processo con messa alla prova (questa è la formula corretta), nel 2016 ha avuto un esito positivo nell’80,9% dei casi applicati a minori. È quanto stima Antigone, l’organizzazione che lavora nelle carceri italiane sostenendo l’attività di recupero dei reclusi: Antigone ha analizzato la situazione dei 452 giovani detenuti nei nostri 16 istituti penali per minorenni (un numero sostanzialmente invariato negli ultimi anni).

La crescita nel tempo

L’indagine ha evidenziato anche che la messa alla prova è in forte sviluppo: nel 1992 i provvedimenti erano stati 788, e nel 2016 sono aumentati a 3.757. Anche se i risultati sono positivi, però, l’ostilità dell’opinione pubblica continua a circondare l’istituto. E infatti ha suscitato polemiche la storia che le cronache hanno trattato più di recente: quella del diciassettenne che il 2 maggio 2017, a Monopoli, aveva spinto giù da una scogliera un uomo di 77 anni che era morto annegato.

Il tribunale di Bari ha appena messo alla prova il ragazzo: nei prossimi tre anni dovrà lavorare di giorno in una struttura per anziani, mentre la sera studierà in una scuola alberghiera. Se otterrà buoni voti, e se seguirà assiduamente corsi di legalità, il giovane estinguerà il suo reato: niente condanna, nemmeno un giorno di carcere, nessuna traccia nel certificato penale. Avrà, insomma, una seconda chance. È stato detto, anche nel suo caso, che la giustizia è troppo arrendevole, mite.

I limiti

In realtà la messa alla prova non viene mai “regalata”. Non prevede soltanto che l’imputato compia gratuitamente lavori di pubblica utilità, ma anche che svolga attività riparative, volte a eliminare le conseguenze dannose o pericolose derivanti dal suo reato; e che risarcisca il danno causato.

Se poi è vero che per i minorenni è possibile accedere alla "seconda possibilità" per qualsiasi tipo di reato, nel caso dei maggiorenni può accadere soltanto se il reato non prevede una pena più alta di quattro anni.

La chanche ovviamente è esclusa nei casi in cui l’imputato sia stato dichiarato dal giudice "delinquente abituale" o "delinquente per tendenza".

Anche per gli imputati maggiorenni la messa alla prova sta crescendo: nel 2015, gli adulti coinvolti dall’istituto erano 6.234 e altri 9.416 avevano presentato istanza per accedervi. Alla fine del novembre 2016 i casi erano aumentati a 9.046, e quelli pendenti erano 11.708.

Nel 2017, sempre a fine novembre, le messe alla prova erano 10.530 e 15.343 quelle in lista d’attesa. Il sistema, in effetti, ha una sua logica intrinseca.

In Italia la recidiva, per chi passa attraverso il carcere, è purtroppo altissima: supera l’85%. Malgrado abbiano un costo annuo tra i 2 e i 3 miliardi di euro, le nostre prigioni sono veramente, insomma, quella ”università del reato” di cui speso parlano i trattati di sociologia criminale. Per questo la messa alla prova è un istituto intelligente: cercare di allontanare dal reato chi mostra di volersi seriamente ravvedere è sempre la strada più razionale.

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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