Un golpe democratico per il nuovo Egitto
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Un golpe democratico per il nuovo Egitto

L'esercito è cambiato e non intende gestire direttamente il Paese. Ma lasciar agibilità ai Fratelli musulmani rischia di riportare al potere un nuovo Morsi. Chi è il generale Sisi

 

I militari hanno annunciato che la Costituzione è sospesa e che l’Egitto eleggerà il suo Presidente nei prossimi mesi. Molti dei manifestanti che erano in piazza qualche mese fa per protestare contro il Consiglio Militare, l’organismo che controllava l’Egitto prima delle elezioni di Morsi, sono tornati a Tahrir per festeggiare il “golpe” dell’esercito. Non bisogna stupirsi. Quello che è successo in questi giorni non è un atto di forza che cancella quanto è stato ottenuto in questi anni. L’esercito, infatti, ha compreso che l’Egitto è cambiato profondamente in questi due anni e che non è possibile rinunciare alla democrazia.

Questo colpo di Stato è la conseguenza delle decisioni dei Fratelli Musulmani, che hanno pensato di poter gestire il potere da soli e si sono perciò fatti molti nemici. Dopo le rivoluzioni, la vittoria elettorale degli islamisti era stata la novità politica più significativa nel Medio Oriente. I Fratelli Musulmani erano (e forse sono ancora) il movimento più popolare in Egitto e perciò hanno creduto che bastassero i loro numeri per diventare la nuova classe dirigente e per approvare una Costituzione, anche senza l’accordo delle altre forze politiche. Questo tentativo di occupare e cambiare lo Stato è la ragione del loro calo di popolarità. La classe dirigente islamista si è mostrata ostile alle voci critiche, come il comicoBassem Youssef, e incapace di prendere delle misure politiche in grado di risolvere la grave crisi economica del Paese.

I Fratelli Musulmani non hanno mai voluto abbandonare l’idea di essere i depositari di una missione divina: quella di creare uno “Stato Islamico”, basato sulla legge religiosa. Questo ha fatto apparire il loro potere come autoritario, anche perché questa convinzione impediva agli islamisti di creare un insieme condiviso di regole con gli altri movimenti politici.

L’esercito è rimasto a guardare, anche perché voleva diventare un’istituzione al di sopra delle parti. Dopo aver ottenuto da Morsi la rassicurazione informale di poter continuare a gestire il 25% /40% dell’economia del Paese, i militari hanno evitato di scontarsi con il Presidente.

L’esercito sa che dopo la rivoluzione non è più possibile gestire il potere in modo diretto e ha voluto dare alcuni segnali di apertura alle istanze democratiche, come la nomina del capo della Corte Costituzionale alla Presidenza. Questa è stata una scelta diversa a quella di qualche mese fa, quando l’esercito aveva deciso di  affidare il potere ad un Consiglio militare. La decisione ha rassicurato gli egiziani più liberali, soprattutto quelli che avevano fatto la rivoluzione ai tempi di Mubarak e che erano scesi in piazza contro il Consiglio Militare. Molti di loro si sono sentiti garantiti dalla scelta dell’esercito e hanno interpretato questa decisione come un segnale di disponibilità dei militari a lasciare il potere dopo le elezioni.

 Da domani inizia il momento delle scelte più difficili per l’esercito. I sostenitori dei Fratelli Musulmani sono ancora tanti nel Paese e molti ritengono che la loro scelta politica non sia stata rispettata, visto che il mandato di Morsi sarebbe dovuto durare altri tre anni. Nei prossimi mesi i militari dovranno decidere se i Fratelli Musulmani potranno candidarsi ancora alle elezioni. Permettere alle formazioni islamiste di partecipare al voto significherebbe, infatti, prendersi il rischio di avere un nuovo Presidente del tutto simile a Morsi. Tuttavia, anche escludere questi movimenti dalla competizione elettorale avrebbe gravi conseguenze. Una parte importante della società egiziana sarebbe priva di rappresentanza politica e perciò potrebbe decidere di ricorrere alla violenza.

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Matteo Colombo

Vive tra Ankara e Il Cairo per studiare arabo e turco. Collabora con  diversi siti di politica internazionale. Le sue grandi passioni sono  l’Egitto, la Siria e la Turchia

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