Un’alleanza atlantica per salvare il premier libico
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Un’alleanza atlantica per salvare il premier libico

Nei giorni più difficili per la tenuta del parlamento, Zeidan cerca l’aiuto di Stati Uniti, Francia e Regno Unito per tenere in piedi il suo governo. Ci riuscirà?

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La graduale risalita della produzione del petrolio libico potrà forse tranquillizzare per qualche settimana le società energetiche occidentali, ma di certo non basta per far dormire sonni tranquilli al premier Ali Zeidan. Il suo governo continua a sopravvivere sull’orlo di una crisi interna, resa ancor più profonda dopo le dimissioni in blocco dall’esecutivo dei ministri appartenenti al partito Giustizia e Costruzione, espressione politica dei Fratelli Musulmani in Libia. Da qualche giorno circola con insistenza la voce di un possibile rimpasto, anche se il giro di walzer di poltrone e incarichi (si parla del cambio di almeno otto ministri) potrebbe non bastare al primo ministro per blindare la sua maggioranza. 

 

Le cose non vanno meglio in parlamento. Dopo aver faticosamente trovato l’accordo per il prolungamento del suo mandato fino al settembre 2015, stravolgendo di fatto l’iniziale road map postrivoluzionaria, il Congresso Generale Nazionale ha iniziato a perdere pezzi. Il 3 febbraio, due deputati dell’Alleanza delle Forze Nazionali si sono dimessi in segno di protesta definendo l’emendamento approvato dal parlamento una mossa contraria all’evoluzione del processo democratico avviato dalla caduta del colonnello Gheddafi.

 

Non tutti però, dentro e fuori i palazzi del potere, la pensano allo stesso modo. I funzionari del governo di Misurata, roccaforte dei ribelli nei giorni della rivoluzione libica, hanno difeso pubblicamente la scelta del Congresso, certi che un suo possibile scioglimento condurrebbe il Paese nel caos totale. Anche varie milizie autonome, tra cui l’influente Sala Operative dei Ribelli Libici, si sono schierate a favore del prolungamento del mandato. Dunque, nonostante siano in molti a parlare di golpe bianco da parte delle istituzioni, almeno per ora dovrebbe prevalere la linea della conservazione. Il timore condiviso dalla maggior parte della popolazione - come anche da diversi osservatori internazionali - è che il vuoto governativo creato dall’assenza di un parlamento potrebbe essere sfruttato dai gruppi armati indipendenti più potenti, pronti ad approfittare della situazione per tentare un colpo di stato.  

 

Insomma, meglio un governo (qualunque esso sia) o l’anarchia? In ogni caso, Zeidan negli ultimi giorni ha provato a utilizzare a proprio favore questa preoccupazione, nella speranza che la concentrazione dell’attenzione pubblica sull’elezione del Comitato dei Sessanta (l’organismo che dovrà redigere la nuova Costituzione) in programma il 20 febbraio (anche se i libici residenti all’estero potranno votare tra il 15 e il 17 febbraio), gli consentirà di guadagnare tempo, permettendogli magari di riuscire a rafforzare la sua squadra di governo.

 

 

Una task force occidentale per fermare Al Qaeda al confine con il Niger

Le minacce più serie per la stabilità del Paese arrivano però senza dubbio da sud. Secondo fonti riservate, citate pochi giorni fa da Le Figaro, membri della Delta Force starebbero operando sotto copertura da una base nel governatorato tunisino di Tataouine per colpire Al Qaeda in Libia. Del resto, qualcosa si era già intravisto con il prelievo di Abu Anas al-Libi da  parte degli americani a Tripoli. La notizia è stata prontamente smentita dal governo libico, anche se un segnale in tal senso è arrivato qualche giorno dopo dal ministro dell’Interno nigerino, Massoudou Hassoumi, il quale si è detto pronto ad accogliere a braccia aperte una missione militare americana per fermare i qaedisti.

 

L’operazione, però, potrebbe essere ben più estesa e riguardare anche francesi e inglesi. Non a caso, in questi giorni Zeidan ha incontrato a Tripoli alti funzionari diplomatici britannici, mentre Ezzedine Awami, vicepresidente del parlamento e consigliere per la Sicurezza Nazionale, ha ricevuto una delegazione ministeriale francese. Insomma, la sensazione è che presto lungo il confine tra Niger e Libia potrebbe accadere qualcosa di importante. E le smentite dei diretti interessati lasciano presagire che andrà proprio così.

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Rocco Bellantone