Ursula von der Leyen commissione europea
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Questo nuovo Umanesimo nato già vecchio

Il pensiero che con Papa Francesco esalta l'accoglienza ad ogni costo nega valori identitari come origine e confini. E' il globalismo senza più comunità

Ecco la nuova parola d’ordine italiana, europea ed ecumenica, il concetto chiave per la collezione autunno-inverno della politica, della religione e della cultura: il nuovo umanesimo. In principio ne ha parlato Massimo Cacciari col suo libro La mente inquieta (Einaudi), ma collegandolo all’umanesimo vero e proprio, nel tempo che precede la modernità. Poi fu immesso nell’arena politica dal trasformista «Giuseppi» Conte (l’uso del plurale da parte di Donald Trump è un lapsus che ben definisce la presenza di più Giuseppi in un Conte solo) che lanciò un nuovo umanesimo per dare fondamento etico al suo governo di voltagabbana. Al nuovo umanesimo ha alluso anche Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, riferendosi allo stile di vita europeo, aperto, accogliente, sensibile ai diritti umani.

Ma la più grande predica sul nuovo umanesimo l’ha fatta Papa Bergoglio, insieme all’ecologismo. In una religione ridotta a soccorso umanitario, che mette tra parentesi Dio e i credenti, per occuparsi dell’uomo in generale e dei migranti in modo speciale, l’appello di Bergoglio evoca «la religione dell’umanità» di Auguste Comte, il filosofo positivista, che abbinò il culto dell’umanità - sorto sulle spoglie della religione tradizionale e sulla scomparsa di Dio - al culto della Terra, il Grande Feticcio. E fondò su queste basi umanitarie una Chiesa positivista, di cui vi è ancora traccia in Sudamerica, in particolare in Brasile.

Il nuovo umanesimo di Bergoglio somiglia pure al Nuovo Cristianesimo di Saint-Simon, anch’egli positivista e fondatore del socialismo in Francia, che prospettò nel 1825 un Cristianesimo senza Dio, risolto nell’amore del prossimo.

Bergoglio è sui loro passi?

Il sottinteso del nuovo umanesimo per coloro che l’hanno evocato è l’accoglienza dei migranti. Umanesimo per loro vuol dire non riconoscere più confini, nazioni, identità e civiltà che non coincidano con l’umanità intera.

È l’utopia cosmopolita e filantropica, comtiana e saintsimoniana, comunista e marxista che torna nelle vesti papali di Bergoglio e dei suoi corifei. Questa prospettiva umanitaria evoca più la matrice laico-illuministica, atea, massonica, che l’umanesimo integrale e cristiano di Jacques Maritain o Emmanuel Mounier o d’altri. L’umanesimo per Bergoglio è nuovo non solo perché differisce dal vecchio umanesimo, pagano e classicista; ma perché si riferisce alla «nuova umanità» che approda sulle nostre coste.

A questo messaggio evangelico o ideologico vorrei opporre tre obiezioni. La prima è che questa retorica umanitaria verso i migranti trascura il grosso dell’umanità: i restanti. Ovvero coloro che restano nella loro terra, nella loro vita, a volte nella loro civiltà e religione. Tra i restanti ci sono molti più bisognosi che tra i migranti, perché molti di loro, se pure lo volessero, non avrebbero nemmeno le risorse, l’età, la forza per partire. Se i migranti sono milioni, i restanti sono miliardi sulla terra. La Chiesa, il mondo, non dovrebbe occuparsi prima di loro? Un discorso analogo vale quando il Nuovo umanesimo pone l’accento sui «diversi»: e della gente comune, delle famiglie comuni, dei cosiddetti normali, chi se ne occupa? Eppure hanno anche loro bisogni e problemi e sono miliardi nel mondo, mentre i diversi sono milioni.

Ma c’è un principio che viene usato nel nome del Vangelo come un argomento risolutivo: la carità verso i nostri fratelli lontani, sconosciuti, stranieri. Ma dei fratelli a noi più vicini, più cari, più famigliari, chi se ne occupa? Qui ci soccorre non un filosofo qualsiasi, ma il principale dottor Angelico della Dottrina cristiana, San Tommaso d’Aquino.

Nella Summa teologica, in particolare nella «Questione 26», San Tommaso stabilisce una gerarchia ben precisa: Dio dev’essere amato più del prossimo e di noi stessi; l’uomo deve amare sé stesso più del prossimo ma deve amare il prossimo più del proprio corpo; tra i prossimi alcuni sono da amarsi più degli altri secondo il principio di prossimità, cioè di vicinanza: ovvero si devono amare di più i congiunti e coloro che sono uniti da vincoli di sangue; quindi le persone buone, poi tutti gli altri, per gradi. È l’ordine della carità, secondo natura e secondo ragione, che ci impone una gerarchia dell’amore. La grazia non abolisce l’ordine della natura, che ha sempre Dio come autore, nota l’Angelico.

È la nostra indole naturale, la nostra umanità, che ci spinge ad amare più chi ci è caro e vicino rispetto a chi ci è ignoto e remoto. Un padre non può amare allo stesso modo i propri figli e quelli di persone sconosciute, non sarebbe un buon padre, anzi sarebbe snaturato; una moglie non può amare un viandante più di suo marito, e viceversa; un Papa non può preferire i lontani senza fede ai fedeli che sono spiritualmente figli suoi.

Lo dicevano anche Dostoevskij e il nostro Leopardi: l’amore astratto per l’umanità si accompagna di solito all’indifferenza se non al fastidio, all’odio verso chi è vicino.

E infine, un nuovo umanesimo che cancellasse le identità, rimuovesse le origini e le appartenenze, esortasse a violare i limiti e varcare i confini e facesse prevalere i propri desideri sulla propria realtà, i diritti sui doveri, la propria volontà sui legami sociali, naturali ed affettivi, cosa avrebbe ancora di umano? Cosa resta di umano in quest’umanità sradicata e intercambiabile, in cui le identità sono revocabili e prive di significato? Non è il trionfo dell’individualismo sulla persona e del globalismo sulla comunità? Altro che umanesimo, è il nuovo ordine mondiale.

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Marcello Veneziani