Ucraina, la guerra civile non si arresta
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Ucraina, la guerra civile non si arresta

Con l’elezione del nuovo presidente Petro Poroshenko nessun passo in avanti nel dialogo tra Kiev e ribelli. Ormai parlano solo le armi. USA e Russia restano fredde e distanti

per LookOut News

Chi sperava che le elezioni presidenziali in Ucraina si svolgessero in un clima di pace o quantomeno di cessate-il-fuoco, si è sbagliato di grosso. Così come si è sbagliato chi riteneva che la scelta di un nuovo presidente avrebbe stemperato gli animi e portato a più miti consigli le parti in causa, ovvero il governo di Kiev e i separatisti dell’Est. Niente di tutto questo. A Donetsk, capoluogo dell’omonima regione, si è scatenata una violentissima battaglia a poche ore dalla chiusura delle urne, per il controllo dell’aeroporto locale, che è stato riconquistato dai governativi. 

Fonti non confermate arrivano a parlare di oltre cento morti, la maggior parte dei quali ribelli filo-russi che stanno riempiendo di ora in ora gli obitori della città, dopo il violento bombardamento intorno all’aeroporto cittadino, dove si è combattuto tutta la notte. Mentre giungono evidenze di numerosi cittadini incolpevoli e disarmati, caduti forse a causa di proiettili vaganti o giustiziati, come è facile che accada in una guerra civile. 

Secondo il primo ministro dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, Aleksandr Boroday, sono esattamente cento le forze di autodifesa e civili morte a Donetsk durante l'attacco, mentre le autorità di Donetsk riferiscono che circa 40 persone sono ufficialmente morte e altre 43 sono rimaste ferite. 

Nonostante poco prima delle elezioni presidenziali numerosi parlamentari ucraini avessero chiesto il ritiro immediato delle truppe dal sud-est del Paese, ieri è stato lanciato uno dei più pesanti attacchi dall’insurrezione di aprile ad oggi. 

- Cosa vuole il nuovo presidente Poroshenko

Come noto, con la fuga del presidente Viktor Yanukovich, il Paese è scivolato nel caos e il sud-est dell’Ucraina si è “staccato”: prima è stata la volta della Crimea, che ha votato un referendum per l’annessione alla Russia, cosa che Mosca ha puntualmente accettato. Quindi, con il voto dell’11 maggio, sono state auto-proclamate le Repubbliche di Donetsk e di Lugansk, dove il controllo del territorio è ora in mano ai filo-russi. Territorio evidentemente conteso dal governo di Kiev, che già sotto la guida del premier facente funzioni, Arseny Yatsenyuk, ha inviato nelle scorse settimane le proprie truppe per eradicare la ribellione interna, definendo l’operazione “anti-terrorismo”. 

In realtà, violenze, combattimenti e occupazioni di sedi istituzionali si sono svolte in numerose città - come Odessa, teatro di una strage di civili - portando l’operazione anti-terrorismo a un livello che ormai (come abbiamo avuto modo di sostenere in passato) è apertamente guerra civile. 

Le elezioni presidenziali, intanto, hanno visto trionfare il magnate del cioccolato Petro Poroshenko. Appena nominato, il neo-presidente ha affermato che non c’era alcuna ragione per cui i militari dovessero interrompere l’operazione anti-terrorismo e che anzi, tale operazione si doveva dimostrare “più efficace”. Questo, nonostante precedenti dichiarazioni lo volessero pronto al dialogo con le auto-proclamate Repubbliche ribelli, ma alla luce di quanto avvenuto si direbbe che si sia trattato di calcoli elettorali.

Del resto, già lunedì scorso il vice premier Vitaly Yaryoma aveva sottolineato che l’operazione continuerà “fino a quando non un solo combattente di auto-difesa resterà sul territorio dell’Ucraina”. Il che la dice lunga sulle prospettive e sulla valutazione del gabinetto del presidente e dei ministri ucraini circa la gestione della situazione. 

- I negoziati di pace con USA e Russia

Il presidente Poroshenko, 48 anni, già ministro degli Esteri e dello Sviluppo Economico, appare come l’ennesimo giovane oligarca che ha accresciuto le proprie fortune in seguito al disfacimento dell’URSS. Oltre a un patrimonio stimato in 1,3 miliardi di dollari, possiede fabbriche di cioccolato, di automobili, cantieri navali, un canale televisivo e una rivista. Questo fa di lui un uomo navigato e consapevole delle dinamiche del potere. 

È forse per tale motivo che il presidente aveva fatto trapelare nei giorni passati, seguendo la linea del premier Yatsenyuk, che un negoziato di pace era possibile alla presenza di Stati Uniti e Russia. E ieri aveva poi dichiarato che l’Ucraina non sarà “trasformata nella Somalia”,.

Il presidente, che si è schierato apertamente con l’Europa e di conseguenza con gli Stati Uniti, nel citare la Somalia non solo ha prospettato uno scenario non rassicurante, ma avrà forse voluto ricordare agli Stati Uniti - che in Somalia sono intervenuti in più occasioni e hanno conosciuto anche sconfitte - che anche Kiev ha bisogno del loro aiuto. In ogni caso, citazione più sfortunata non si poteva trovare.

Poroshenko, però, per risolvere la situazione e porre fine alla crisi, ha anche affermato di volere il dialogo con la Russia, considerata dall’Ucraina parte in causa diretta della guerra. Anzi, responsabile della guerra, detto in termini meno diplomatici. 

- Mosca e Washington 

Mosca aveva annunciato che avrebbe accettato i risultati delle elezioni e si era detta disponibile a impegnarsi in un dialogo con il vincitore, ma per il momento resta alla finestra a osservare le mosse di Kiev. Dopo il bagno di sangue all’aeroporto di Donetsk, però, le cose si potrebbero complicare non poco. E il ministro degli Esteri Sergei Lavrov già riferisce di non avere in programma alcun incontro con Poroshenko.

Anche per gli Stati Uniti la situazione si complica. La dottrina Obama ci ha abituati all’intervento armato, giustificato nel caso in cui un regime avesse attaccato la popolazione civile, con ciò delegittimando automaticamente la propria sovranità. Così è accaduto con il Colonnello Gheddafi in Libia, con Bashar Assad in Siria e con Yanukovich in Ucraina. Anche se l’applicazione della dottrina Obama è stata diversa per ciascuno dei Paesi citati, la linea di pensiero e di condotta seguita dalla Casa Bianca è sempre la stessa.

Ma se Kiev attacca anche la popolazione filo-russa e Washington non condanna tali azioni (al contrario, le sostiene), cosa significa? O che la posizione degli USA considera in questo caso i russi come cittadini di serie B o che la dottrina Obama non convince e, di conseguenza, la politica estera americana non è credibile per una soluzione condivisa tra le parti. Con tali premesse, quanto è credibile un negoziato di pace tra Poroshenko, Obama e Putin? Per non parlare della latitante Unione Europea, che finora sembra non voler vedere quel che accade in Ucraina.

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Luciano Tirinnanzi