Turchia, nuova strategia nel Medio Oriente
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Turchia, nuova strategia nel Medio Oriente

Il governo ha concesso agli Stati Uniti l’utilizzo delle sue basi aeree al confine con la Siria. Ma cosa ha ottenuto in cambio Erdogan?

La Turchia è “determinata a combattere tutti i gruppi terroristici, senza distinzione”. Ankara sta rispondendo con fermezza alle tensioni che da giorni si registrano soprattutto nella parte sud-orientale del Paese, al confine con la Siria. Alle prime ore di questa mattina tre caccia F-16 hanno effettuato raid contro postazioni dello Stato Islamico in Siria, dopo che ieri un soldato era stato ucciso da miliziani jihadisti a un check point vicino alla città turca di Kilis. Gli aerei sono decollati dalla base di Diyarbakir. Nei bombardamenti sono stati uccisi almeno 35 miliziani jihadisti e colpiti due avamposti e una base militare nei pressi della città siriana di Havar, situata vicino a Kilis. È la prima volta che la Turchia effettua raid aerei contro obiettivi dello Stato Islamico in ​​Siria. La tv di Stato turca ha spiegato che nell’operazione i caccia non avrebbero violato lo spazio aereo siriano.

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L’episodio, sommato alla strage di Suruc del 20 luglio (32 morti e oltre cento feriti) e ai blitz antiterrorismo che in queste ore hanno portato all’arresto di 250 elementi sospettati di essere legati allo Stato Islamico e al PKK (impiegati 5mila agenti della polizia), proietta la Turchia nel momento più critico da quando, nel giugno del 2014, è iniziata l’avanzata dello Stato Islamico in Siria e Iraq.

Le basi aeree concesse agli USA

Una guerra in cui Ankara adesso potrebbe avere un ruolo ben più centrale rispetto a quanto avvenuto finora. Il governo turco ha infatti accettato di concedere agli Stati Uniti l’utilizzo delle sue basi aere di Incirlik e Pirinclik, entrambe situate vicino al confine con la Siria. Un “game changer” (“momento della svolta”) come lo hanno definito a Washington, concordato in una conversazione telefonica il 23 luglio tra il presidente degli Stati Uniti Barack Obama e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Una conversazione nel corso della quale i due leader hanno anche parlato della necessità di rafforzare la cooperazione tra i due Paesi per arginare il flusso di combattenti stranieri che in questi mesi hanno attraversato con estrema facilità il confine tra Turchia e Siria per unirsi ai gruppi jihadisti.

Poter usufruire di basi aeree così vicine agli obiettivi da colpire in Siria rappresenta ovviamente un grande vantaggio per l’aviazione americana e per le altre forze della coalizione internazionale maggiormente impegnate nel conflitto (in primis il Regno Unito).

La base aerea di Incirlik è situata vicino alla città di Adana, nel sud della Turchia lungo il confine con la Siria. La base è stata costruita nel 1950 e per decenni è stata utilizzata dagli aerei spia americani per sorvegliare i movimenti dell’Unione Sovietica in Medio Oriente. Durante la prima guerra del Golfo (1990) e, successivamente, nelle fasi iniziali dell’invasione americana in Iraq (2003), da qui sono partiti i raid aerei contro l’esercito di Saddam Hussein. La base è stata anche al centro delle operazioni militari americane all’inizio della guerra in Afghanistan nel 2001 e, secondo i documenti segreti emersi da Wikileaks, Washington e Ankara l’avrebbero anche sfruttata per il trasferimento negli Stati Uniti di decine di sospettati terroristi.

Il nome Incirlik in turco significa “boschetto degli alberi di fico”. Qui si troverebbero già sei droni predator americani pronti a prendere il volo, due dei quali armati con missili Hellfire. Insieme all’altra base di Pirinclik (situata nei pressi di Diyarbakir, nella Turchia sud-orientale, dove le forze americane sono presenti dal 1997), Incirlik può consentire agli USA di mirare da una posizione migliore la roccaforte jihadista di Raqqa, capitale dello Stato Islamico in Siria, distante 400 chilometri.

Cosa c’è dietro il cambio di strategia di Ankara

L’accordo con gli Stati Uniti segna un passaggio fondamentale nel proseguimento della guerra in Siria e Iraq. Finora la Turchia, pur partecipando formalmente alla coalizione militare internazionale contro ISIS in qualità di Paese alleato della NATO, si è tenuta alla larga dal vivo del conflitto nonostante condivida con la Siria circa 800 chilometri di confine.

Nel testa a testa prolungato con gli Stati Uniti, Ankara ha fatto valere le sue posizioni divergenti rispetto principalmente a due questioni: il rapporto con il governo siriano di Bashar Assad (con la Turchia che punta dichiaratamente alla destituzione del presidente siriano) e il sostegno alle milizie curde impegnate contro ISIS in Siria e Iraq (che il governo turco, invece, considera una spina nel fianco per la sua stabilità interna). Secondo l’agenzia di stampa curdo-siriana ARA, citata da Russia Today, Erdogan deve necessariamente aver posto delle condizioni a Obama per congelare queste divergenze e concedere l’utilizzo delle sue basi aeree. Tra queste ci sarebbe l’istituzione di una no fly zone e di una zona cuscinetto al confine tra Siria e Turchia. Ma è probabile, sostiene l’agenzia ARA, che il presidente abbia anche ottenuto che gli USA chiudano gli occhi in caso di attacchi sponsorizzati da Ankara contro il regime di Assad.

Ciò che è certo, al momento, è che Erdogan ritiene che solo un’azione di contrasto decisa e trasversale gli permetterà di domare i focolai di instabilità che ardono non solo al confine con la Siria, ma anche a Istanbul, Ankara e in altre parti del Paese: dalle frange estreme del PKK agli ambienti della sinistra più radicale, fino alle infiltrazioni dello Stato Islamico che iniziano a vedere della Turchia non solo un porto franco da cui passare per spostarsi in Siria ma anche uno Stato in cui espandere l’influenza del Califfato.

Con questa concessione a Washington, Erdogan adesso potrebbe avere maggior gioco nel tentativo di colpire i suoi nemici. Tutti “gruppi terroristici, senza distinzione”, come i vertici del suo governo hanno più volte ribadito nelle ultime ore.

Il dramma dei profughi siriani in Turchia

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Un ragazzo in un autocarro di rifugiati attraversa il confine fra Siria e Turchia, 30 settembre 2014

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Rocco Bellantone