Turchia: la censura di “Zaman” allontana Ankara dall’UE
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Turchia: la censura di “Zaman” allontana Ankara dall’UE

L'Ue discute con Ankara dei migranti. Ma qualcuno dovrebbe chiedere conto a Erdogan delle sue scelte autoritarie contro la stampa

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Provate a immaginare cosa sarebbe successo in Italia se il governo avesse deciso di punto in bianco di “commissariare” il quotidiano La Repubblica defenestrandone d’autorità la proprietà e la direzione per sostituirle con persone di propria fiducia. L’enormità di una simile mossa avrebbe provocato chissà quali tensioni e tumulti.

 Ebbene questo è quello che è successo ad Ankara venerdì 4 marzo quando la polizia ha insediato nella sede del più diffuso e popolare quotidiano turco, Zaman, (600.000 copie vendute al giorno), un nuovo editore e un nuovo direttore di provata fede governativa. Si tratta dell’ultima mossa, abbastanza disperata, con la quale il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha tentato di mettere il bavaglio a un’opposizione sempre più critica nei confronti di un governo che dopo aver sbagliato più del tollerabile sia in politica interna che in politica estera tenta di mantenersi saldo imprimendo al Paese una deriva reazionaria, autoritaria e islamista.

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Le “colpe” del giornale Zaman e il ruolo di Gulen
La colpa del quotidiano Zaman è stata quella di condividere e di diffondere le idee e le posizioni del movimento politico Hizmet, vicino al religioso islamista moderato Fethullah Gulen, un anziano studioso che per le proprie idee è stato costretto all’esilio negli Stati Uniti. Il movimento Hizmet non è un vero e proprio partito politico, ma è piuttosto un vasto e organizzato movimento d’opinione che raccoglie tra le proprie fila esponenti della cultura, delle forze di polizia, magistrati, militari ed educatori. Per anni Hizmet ha discretamente sostenuto il Partito della Giustizia e dello Sviluppo del presidente Erdogan (l’AKP) fino alla rottura del 2013 per profondi dissensi sulla politica del presidente nei confronti di Israele, dei curdi e dell’Iran.

 

 

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(La prima pagina di Zaman in versione filogovernativa twittata dalla giornalista Marta Ottaviani)

 

Su questi grandi temi il dissenso si è fatto insormontabile. La Turchia è stato il primo Paese musulmano a riconoscere fin dal 1949 lo Stato di Israele e per decenni i rapporti tra le due nazioni sono stati eccellenti. Basti pensare che nel 2013 ben 250mila turisti israeliani hanno scelto la Turchia come meta per le loro vacanze e che fino a qualche anno fa Ankara autorizzava in segreto l’aviazione militare israeliana a utilizzare lo spazio aereo dell’Anatolia per l’addestramento dei piloti.

 Le relazioni con Israele sono arrivate a un punto di rottura il 31 maggio 2010 quando una “Flottiglia della Libertà” ha tentato di forzare il blocco di Gaza e le forze speciali israeliane hanno assaltato la nave turca Mavi Marmara carica di rifornimenti per i palestinesi di Hamas uccidendo, nel corso di un violento scontro con l’equipaggio, 9 “pacifisti” di nazionalità turca. Dopo l’incidente le relazioni tra Gerusalemme e Ankara sono parzialmente riprese ma non sono mai tornate ai livelli precedenti.

Nello stresso periodo Erdogan per guadagnare consensi all’interno ha progressivamente abbracciato un visione sempre meno moderata dell’Islam, un visione che aveva plasmato per decenni la Turchia moderna, assumendo posizioni sempre più rigide e antidemocratiche. Nei confronti dei curdi, Erdogan, che pure aveva sostenuto gli sforzi indipendentisti del Kurdistan iracheno, ha assunto posizioni sempre più rigide provocando le proteste delle decine di milioni di curdi che vivono in Turchia e le reazioni terroristiche del Partito dei Lavoratori Curdi, il PKK.

 

Con l’Iran il presidente turco vuole giocare la partita per la leadership regionale e per questo non ha esitato ad appoggiare la nascita e la crescita dell’ISIS in Siria e Iraq.

 

Tutto questo ha provocato le proteste e la reazione politica del movimento Hizmet di Fetullah Gulen, che si è allontanato dalle posizioni del partito del presidente. Per tale motivo il suo movimento è stato sbrigativamente inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche.

 

Il precedente del giornale Cumhurriyet
Nell’ultimo anno il tasso di intolleranza di Erdogan nei confronti di qualsiasi forma di dissenso politico è progressivamente cresciuto: nel novembre scorso per decisione del governo sono stati arrestati, con la pesantissima accusa di spionaggio, il direttore e il caporedattore del quotidiano di opposizione Cumhurriyet, colpevoli di aver pubblicato un servizio contenente le prove fotografiche del sostegno dei servizi segreti turchi ai jihadisti siriani dell’ISIS.

 

UE-Turchia, fine della storia?
Dopo aver puntato tutto sulla rapida caduta del presidente siriano Bashar Al Assad, di fronte alla resistenza del regime di Damasco, sostenuto da Iran e Russia, il governo di Ankara ha provato in modo sconsiderato a innalzare il livello di scontro nella regione autorizzando l’abbattimento, del tutto gratuito, di un jet di Mosca “colpevole” di una violazione delle frontiere turche della durata di 17 secondi. Per fortuna i russi non hanno reagito militarmente alla provocazione turca evitando un coinvolgimento della NATO, dagli esiti imprevedibili nel conflitto siriano. Di fronte alla reazione russa, Ankara avrebbe potuto infatti invocare il trattato che la lega all’Alleanza Atlantica e che prevede la difesa comune di suoi membri, se attaccati.

Erdogan si comporta in modo sempre più autoritario al duplice scopo di rafforzare il suo potere all’interno e di aumentare il peso strategico della Turchia in Medio Oriente. L’arresto dei giornalisti, il commissariamento del primo quotidiano turco e l’appoggio all’ISIS sono solo le ultime spinte involutive che stanno progressivamente allontanando la Turchia dal novero delle nazioni democratiche. La Turchia, che anni orsono presentò a Bruxelles la domanda di ammissione all’Unione Europea, era un Paese laico e democratico. Si può dire lo stesso della Turchia di oggi a guida Erdogan? La risposta non può che essere negativa di fronte alle continue violazioni delle libertà più elementari da parte di un regime sempre più autoritario, all’interno, e avventurista, all’estero. Di questo l’Unione dovrebbe tener conto.

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Alfredo Mantici