Terrorismo: ecco come deve cambiare l'intelligence
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Terrorismo: ecco come deve cambiare l'intelligence

Dialogo con le forze di polizia e una nuova lista di priorità. Le modalità per rendere più efficienti i sistemi di sicurezza secondo Margelletti, del Centro Studi Internazionali

''Il rischio 'foreign fighters' è concreto anche in Italia. Mentre disegniamo giotteschi buchi nel terreno, frutto di armi intelligenti più che della strategia che le utilizza, c'è il pericolo che cittadini europei o statunitensi addestrati alla morte in Siria e Iraq, possano tornare nelle proprie nazioni attraversando le maglie della nostra presunzione e, potenzialmente, provare a mettere a segno attentati nel cuore dell'Occidente''.

Sono le parole di Andrea Margelletti, presidente del  Centro Studi Internazionali, durante un’intervista all'Adnkronos del 20 settembre 2014.
Sono trascorsi meno di 4 mesi da quella dichiarazione e fatti di Parigi, probabilmente, sono la prova concreta e sanguinosa della “presunzione” dei Paesi Europei.

Margelletti, la fuga della moglie di Coulibaly è l'ennesima dimostrazione che non c’è intesa tra l’intelligence dei vari paesi. Che cosa può o deve essere fatto per migliorare il dialogo tra i vari Servizi segreti?
Prima di migliorare il dialogo tra i servizi dei vari Paesi occorre che ogni singolo Paese occidentale migliori il coordinamento interno tra le forze di polizia. In questo periodo storico e i fatti avvenuti a Parigi ne sono la dimostrazione tangibile, è necessario che si metta fine all’era dei personalismi. L'intelligence e le forze di polizia devono coordinare le risorse, gli sforzi, le capacità e ovviamente condividere le informazioni e di conseguenza i risultati del loro lavoro se vogliono raggiungere veramente dei risultati. Solo con un efficiente coordinamento interno si potrà parlare di creare o dove c’è già, rafforzare, il dialogo tra intelligence degli altri Paesi.

Perché i servizi francesi non hanno preso in considerazione le informative dei colleghi algerini? Come si verifica l’attendibilità di un’informativa?
È difficile pronunciarsi, perché occorre capire bene l’attendibilità dell’informazione che i francesi hanno ricevuto. Prima di tutto capire se si trattava di una informativa circostanziata oppure no e se la fonte era davvero attendibile. Il mondo delle informative è pieno di quelle di “allarme” ed è necessario un’attenta analisi e valutazione per stabilirne la reale importanza. Ad esempio. Ci possono essere informative molto vaghe che indicano solamente il rischio di un attentato; altre invece, possono essere molto più precise ed indicare anche un obiettivo e un lasso di tempo definito. Poi vi possono essere delle informative che arrivano direttamente da soggetti interni a delle organizzazioni terroristiche che, per qualche motivo non hanno più deciso di partecipare alla pianificazione di un attacco terroristico come altre informative che si basano sul “sentito dire”. Sta proprio in questo il difficile lavoro dell’intelligence, ovvero, nella ricezione, controllo e verifica delle informazione e nella divulgazione degli “allarmi” alle varie forze di polizia presenti sul territorio.  

La “falla” dei servizi francesi, secondo lei, modificherà l’approccio investigativo e di analisi dei soggetti considerati a rischio? E ancora, porterà ad una modifica di eventuali norme che ne faciliteranno l’arresto?
Non credo che porteranno alla modifica di leggi e regolamenti. Credo invece, che i Servizi francesi debbano lavorare su due livelli per migliorare le loro performance. Il primo è il dialogo tra le forze di polizia. Indubbiamente, l’intelligence francese ha dimostrato di non avere un dialogo con le altre forze di polizia. Il secondo, invece, è quello di rivedere la lista delle priorità. Che cosa intendo? Non è possibile per l’intelligence di nessun Paese intercettare, pedinare tutti i potenziali terroristi presenti sul territorio ma è invece possibile stabilire delle priorità e suddividere con le altre polizie il controllo dei soggetti potenzialmente pericolosi. Solo in questo modo si potrà ridurre il rischio di attentati. 

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Nadia Francalacci