Tempi lunghi per la riforma del Senato
ANSA/GIUSEPPE LAMI
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Tempi lunghi per la riforma del Senato

La realtà, o meglio, l'iter burocratico, ci riportano alla realtà. Per l'approvazione ci vorrà almeno un anno - Come sarà il nuovo Senato

Inutile cantare vittoria. Per la riforma del Senato la strada è ancora lunga e quello raggiunto ieri è solo un primo, piccolo, risultato. C'è almeno un anno di discussione parlamentare prima di arrivare al traguardo. Questo perché una volta archiviata l'ipotesi di un procedimento speciale per la revisione della Costituzione, l'iter è tornato sotto i dettami dell'art. 138 della Carta che prevede un procedimento “aggravato” per la revisione costituzionale. Procedura pensata contro i colpi di mano di qualsivoglia maggioranza e di leader troppo pieni di sè.  

In sostanza la Costituzione prevede che per portare a termine una riforma costituzionale ci vogliono quattro voti parlamentari, con un intervallo tra l'uno e l'altro di tre mesi. Quindi ad essere fortunati, l'approvazione finale è rimandata di un anno. Più un passaggio referendario se ne fanno richiesta cinque consigli regionali, 500mila elettori o un quinto dei membri di una Camera. L'ipotesi referendaria salta se la legge è approvata dalla maggioranza qualificata dei due terzi del Parlamento.

E l'altra grande riforma annunciata da Renzi che fine ha fatto? L'Italicum, ovvero la nuova legge elettorale si è impantanata nella discussione sulle soglie di sbarramento giudicate troppo alte anche da alcuni pezzi importanti del Pd. Il dibattito ruota intorno alle modalità di composizione delle liste, all'istituzione di collegi uninominali molto piccoli, introduzione delle preferenze o liste bloccate con l'obbligo di parlamentarie per i partiti. Sono i nodi da sciogliere, ma anche i capisaldi della riforma. Insomma, tutto è ancora in alto mare. Così, il novantenne Giorgio Napolitano è costretto a rimandare ancora una volta il suo addio al Quirinale.

Il Capo dello Stato che al discorso del suo insediamento-bis aveva messo in chiaro fin da subito che la sua permanenza era limitata al tempo delle riforme e poi via. Per questo avrebbe preferito che la legge elettorale avesse avuto una corsia preferenziale all'interno delle commissioni che invece per mesi si sono impantanate a discutere la riforma Boschi sul Senato, tra ripetuti “stop & go”.

A conti fatti, in autunno il quadro legislativo, rispetto al momento della rielezione del Capo dello Stato, potrebbe essere invariato. Perchè l'esito delle riforme e i tempi sono tutt'altro che scontati. Anche se la riforma elettorale, trattandosi di una legge ordinaria ha un iter più breve rispetto alle riforme costituzionali. Per cui una volta trovata l'intesa nella maggioranza, l'approvazione dovrebbe essere abbastanza veloce.

Solo a quel punto Napolitano potrà congedarsi e sperare che il Parlamento sia in grado di nominare un suo successore senza il pasticcio della volta scorsa. Stando ai fatti è improbabile un prossimo abbandono di Napolitano in autunno, come si affannano a vaticinare in molti, anche se le voci sui possibili candidati è già partita. D'altronde l'ipotesi non è peregrina. Perchè Enrico Letta nel suo discorso di fiducia nell'aprile del 2013 aveva promesso un iter riformatore che si sarebbe concluso in 18 mesi, che guarda caso scadono proprio ad ottobre. Poi le cose sono andate nella maniera che è nota a tutti e quella promessa è diventata carta straccia.

Tuttavia il totonomi per il Quirinale è un passatempo che impegna molti in questi giorni prima della pausa estiva.

L'attuale premier non nasconde i suoi favori per Roberta Pinotti che al Ministero della Difesa ha mostrato il piglio giusto per affrontare un ambiente da sempre maschilista; un'altra parte del Pd invece vorrebbe Pier Luigi Bersani e il suo malore ha mostrato quanto sia stimato da tutte le forze politiche; torna in corsa Romano Prodi anche se dopo essere stato colpito alle spalle proprio dai suoi è improbabile che voglia farsi immolare una seconda volta; c'è la sempre presente Emma Bonino che proprio Napolitano vedrebbe bene al suo posto; torna in corsa anche Giuliano Amato anche se con un Pd a guida Renzi è improbabile la sua elezione al Colle; entra per la prima volta nella rosa dei papabili anche Mario Draghi, attuale Presidente della Banca Centrale Europea; e poi ci sono le candidature sempreverdi di Anna Finocchiaro e Massimo D'Alema. Ma in politica, come in Vaticano vige la regola che “chi entra Papa, esce Cardinale”.

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Sara Dellabella