Io speriamo che me la cavo (dalla camorra)
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Io speriamo che me la cavo (dalla camorra)

"Ci vorrebbe più polizzia". "I figli dei camorristi saranno anche loro camorristi". "I boss si credono dei re, ma non sono nessuno". A Castellammare di Stabia scuole elementari e medie impegnate nel tema in classe. Oggetto: le cosche. Nella vita di ogni giorno.

Mentre a Napoli il 3 marzo si contava l’ottavo morto ammazzato in poco più di un mese, loro erano chini sui banchi: a scriverne. Del resto, la camorra la conoscono bene perché la vivono in diretta, ogni giorno. In città. Nelle strade dove giocano. Nel palazzo dove abitano. Alcuni pure in famiglia.
Eccola, la camorra vista dai bambini delle scuole elementari e medie di Castellammare di Stabia, un centro di 65 mila abitanti a sud di Napoli. Nei temi, che Panorama pubblica in queste pagine, viene descritta come una maledizione che si abbatte sugli "uomini di cattiva volontà" privandoli, spesso, della stessa possibilità di redenzione. Muoiono dannati, i boss, e la stessa brutta fine rischia di farla la loro progenie.

I temi, che per stile e lessico ricordano un po’ i pensierini dei bambini di Arzano (Napoli) raccolti dal maestro Marcello D’Orta nel best seller Io speriamo che me la cavo (Mondadori, 1994), sono stati scritti in occasione di una lezione sulla legalità condotta in aula dal generale Mario Mori, l’ex cacciatore di mafiosi che arrestò Totò Riina, e da don Aniello Manganiello, prete anticlan. A portarli a Castellammare è stato Vincenzo Zurlo, carabiniere con un passato nel Ros, che oggi va in giro per scuole e circoli con la sua associazione Legalmenteitalia a parlare di onestà e regole.

Frequentano le scuole in quartieri pericolosi, questi ragazzini. La preside di un istituto, qui, è stata minacciata perché "dava fastidio" con i suoi continui richiami alla puntualità. E un alunno di appena 10 anni, un giorno, si è messo un’ascia nello zaino per ammazzare un compagno, figlio di una famiglia "rivale". Ma non tutto è perduto: in un tema si legge che i camorristi "non sono nessuno"; in un altro si percepisce la distanza tra persone "per bene" e malavitosi. Forse è lecito sperare in un futuro migliore.   

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