Egitto: a che cosa punta il pragmatico Obama
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Egitto: a che cosa punta il pragmatico Obama

Il presidente Usa sembra aver perso le scommesse fatte al Cairo, ma ha ancora una carta da giocare... - La crisi egiziana vista da Israele

Per gli americani, la destituzione del presidente egiziano Morsi è un problema semantico. A poche ore di distanza dalla fine del governo dei Fratelli Musulmani, la cosa più importante per la diplomazia Usa è non usare la parola Coup, colpo di stato. Perché questo potrebbe creare il vero, grosso imbarazzo per l'amministrazione Obama e il Congresso: come prevede la legge, li costringerebbe ad bloccare il miliardo e mezzo di dollari di aiuti che Washington manda al Cairo. Ed è quella cifra che fa ancora degli Stati Uniti, il paese più influente in Egitto. Quei soldi s ono la carta che Barack Obama può ancora giocarsi sotto le piramidi dopo aver perso un paio di scommesse in questi ultimi anni.

La prima reazione di Obama più che prudente è stata pragmatica. Quello che gli interessa è un Egitto stabile, con un governo il più possibile democratico. La Casa Bianca ha condannato la defenestrazione di Morsi, ma i toni non sono stati così perentori. Wait and See. Gli Usa hanno detto ai generali egiziani che non avrebbero accettato un colpo di stato che li avrebbe riportati al governo del paese, una dittatura militare, ma, dalle prime dichiarazioni, sembra di intuire che gli Stati Uniti diano un minimo di credito alle loro promesse di un ritorno alle urne, per nuove elezioni democratiche.

A Washington, c'è il timore che la crisi egiziana diventi ancora più grave, con maggiori violenze di strada, una crescita contemporanea  e speculare della protesta della piazza e dei settori più radicali del fondamentalismo islamico, con la conseguente dura repressione da parte dei soldati. Questo è lo scenario che preoccupa di più la Casa Bianca. Ma, se invece, i generali egiziani manterranno la barra dritta e, dopo aver guidato il paese nella fase di transizione, (ri)cederanno il potere a un governo civile, gli Stati Uniti potranno convivere con questa situazione. E, anzi, essere tra i protagonisti della vicenda, concorrere a determinarla, come hanno sempre fatto, in realtà, da quando è esplosa la primavera araba al Cairo. In caso contrario, bloccheranno gli aiuti, vero ossigeno per l'esangue Egitto.

Nella drammatica vicenda egiziana, l'amministrazione Obama si è mossa con una tattica che è stata un misto di idealismo e pragmatismo, all'insegna dello sviluppo della democrazia ma anche e soprattutto della stabilità regionale e della difesa degli interessi degli Usa nell'area. Una tattica cauta che ha provocato stop and go e apparenti contraddizioni. Per questo, dopo aver accolto con timidezza le prime proteste di Piazza Tahrir, Barack Obama è diventato poi una delle voci più forti nel chiedere a Hosni Mubarak di lasciare il paese. La violenta repressione dell'ex rais aveva colpito il suo popolo, ma soprattutto l'aveva reso il vero elemento di instabilità al Cairo. Questo il motivo per cui, anche secondo Obama, doveva lasciare il passo. 

Sono le stesse contraddizioni che si registrano nel rapporto tra la Casa Bianca e il governo Morsi. Obama dialoga con i Fratelli Musulmani. Un'apertura di credito imposta dal rispetto del processo democratico che li ha portati al potere. Un'apertura che viene mantenuta nonostante le politiche di Morsi. E che culmina con le parole dell'ambasciatrice statunitense al Cairo Anne Patterson, la quale bolla come senza speranza la nuova rivolta di Piazza Tahrir contro il potere presidenziale: "Io e il mio governo siamo profondamente scettici rispetto a queste manifestazioni e non crediamo che raggiungeranno lo scopo che si sono date.", dice la diplomatica Usa. La Storia andrà diversamente, come ci racconta la cronaca. E, anche questa scommessa di Obama viene perduta. Morsi era diventato elemento di instabilità prima ancora che gli Usa ne ne rendessero conto. 

E ora, per garantire la stabilità del paese e della regione, la Casa Bianca può anche accettare i carri armati nelle strade e l'arresto di Morsi. E'fondamentale che non ci sia una dura repressione e che i generali escano di scena (per rimanere dietro le quinte) in breve tempo. Obama può ingoiare l'amaro calice di un colpo di stato militare in nome del popolo. L'importante è non chiamarlo così: Coup. Quale sarà l'esito di questa terza (possibile) scommessa di Obama?

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Michele Zurleni

Giornalista, ha una bandiera Usa sulla scrivania. Simbolo di chi vuole guardare avanti, come fa Obama. Come hanno fatto molti suoi predecessori

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