Il Congresso vota si, default evitato
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Il Congresso vota si, default evitato

Sul filo di lana, Camera e Senato approvano l'intesa bipartisan. Finisce la serrata del governo, non ci sarà il fallimento (tecnico) degli Usa.

L'America non fallirà, il default è stato evitato. I fondi federali sono stati sbloccati, il governo potrà mettere fine alla serrata: ritornano al lavoro le migliaia di dipedenti pubblici che erano stati lasciati a casa due settimane fa, riaprono tutti i parchi nazionali, i centri di ricerca, i musei e gli uffici federali che erano stati chiusi per lo shutdown.

Sul filo di lana, il Congresso ha approvato l'intesa bipartisan raggiunta alla vigilia del possibile default. Prima il Senato e poi la Camera dei Rappresentanti l'hanno votata in tempo utile per evitare che il Dipartimento del Tesoro fosse costretto a dichiarare l'inadempienza, alla mezzanotte di giovedì 17 ottobre, le sei del mattino in Italia.

La battaglia, durata quasi tre settimane, è dunque finita. Il pericolo di un fallimento (tecnico) degli Stati Uniti è stato allontanato, ma questa vicenda lascia sul campo molti feriti. Prima tra tutti i repubblicani, alla fine divisi nel voto del Congresso; e poi, Barack Obama, che ora canta vittoria, ma che è stato costretto a rimanere in disparte nelle fasi cruciali della vicenda, dimostrando così la debolezza della sua presidenza.

Ma, più in generale, le fibrillazioni che hanno accompagnato il braccio di ferro sul debito, hanno dimostrato le difficoltà di funzionamento del sistema politico americano tra un Congresso poco governabile e una Casa Bianca incapace di imporre le proprie condizioni a Capitol Hill.

L'accordo

L' intesa votata prevede l’autorizzazione al governo di innalzare il tetto del debito fino al 7 febbraio 2014 e a porre fine allo shutdown prolungando il bilancio federale (scaduto il 30 settembre scorso) fino al 15 gennaio. Entro la metà di dicembre dovrà essere trovato un accordo vero, nel merito, nelle voci del bilancio statale per arrivare all'appuntamento del febbraio successivo senza correre il rischio di ripetere il drammatico braccio di ferro di questi giorni. I repubblicani, in cambio, hanno ottenuto degli intervento marginali sugli sgravi fiscali relativi all'Obamacare, la riforma sanitaria, la cui attuazione è partita il primo ottobre scorso.

L'accordo è stato prima votato dal Senato: 81 i voti favorevoli e 18 quelli contrari, e poi dalla Camera dei Rappresentanti, verso le 22,00 di sera (le 4 del mattino in Italia), due ore prima del possibile default, ed è passata con 285 si e 144 no. Il dato politico più importante è che il partito repubblicano si è diviso, quasi spaccato.

I repubblicani

"E'stata una lunga battaglia, ma non l'abbiamo vinta" - ha detto lo Speaker della Camera, John Boehner. Lui è uno dei grandi sconfitti di questa partita. L'ala più radicale del suo partito, quella che fa riferimento al Tea Party, tre settimane fa aveva annunciato la guerra: non avrebbe mai votato alcun innalzamento del debito a meno che i democratici non avessero accettato di bloccare, di fatto, l'entrata in vigore della Riforma Sanitaria di Obama.

In un primo momento, Boehner aveva detto no a questa posizione, ma poi, nonostante i consigli contrari dei repubblicani moderati, l'aveva sposata. La  situazione di stallo, che prima ha portato allo shutdown e poi a sfiorare il default, era nata proprio da questo. Lo Speaker credeva di piegare la resistenza della Casa Bianca, ma non c'è riuscito.

Il partito non gli è andato dietro. I moderati l'hanno lasciato al suo destino. Una plastica rappresentazione di questa situazione si è avuta martedì 15 ottobre, quando John Boehner ha tentato, con un blitz alla Camera, di fare passare un piano targato Tea Party, ma ha dovuto fare marcia indietro, perché non aveva i voti necessari tra i repubblicani per farlo approvare. Ora, la sua poltrona di Speaker della Camera è traballante.

Il Grand Old Party esce male da questo braccio di ferro sul debito. L'opinione pubblica l'ha bollato come il grande colpevole della serrata del governo. La divisione tra falchi e colombe si è accentuata ed è emersa nelle votazioni di Camera e Senato.

Obama

Il presidente ora canta vittoria. Non ha mollato la presa sulla sua riforma sanitaria. Ha resistito e, apparentemente, ha avuto ragione. In realtà, questa sua tattica è stata imposta dalle dinamiche politiche: ha dovuto fare di necessità, virtù. Messo in un angolo dall'intransigenza repubblicana, Obama ha preferito lasciare il cerino nelle mani di John Boehner in attesa che si scottasse, come poi è avvenuto.

Ma, la sua non è stata una vittoria piena. Alcuni, tra le fila democratiche, con molta diplomazia, l'hanno fatto notare. Obama è stato più spettatore che protagonista dello spettacolo inscenato a Washington sul debito. Non è stato lui a sbloccare la situazione, non è stato lui il motore (politico) che poi ha portato a una soluzione del muro contro muro. Due anni fa, invece, era stato in prima fila nelle trattive che evitarono il default. Ma, quell'accordo apparve più una vittoria dei repubblicani che un compromesso.  Scottato da quell'esperienza, in questa occasione, Obama è stato costretto (ma ha anche voluto) rimanere in disparte. Segno di debolezza, non certo di forza (politica) della sua presidenza.

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Michele Zurleni

Giornalista, ha una bandiera Usa sulla scrivania. Simbolo di chi vuole guardare avanti, come fa Obama. Come hanno fatto molti suoi predecessori

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